Della loro terra i lucani non intessono
lodi sperticate né esprimono giudizi sferzanti; talvolta ne tacciono
completamente; spesso, con la loquela scarna e schietta che è loro peculiare,
te ne fanno innamorare come d’una passante sconosciuta di cui hai appena
incrociato lo sguardo ammaliante. Terra di boschi, di lupi, di luce: con queste
tre parole (in latino lucus, lupus, lux)
spiegano l’etimologia di Lucania i suoi stessi abitanti, che usano definirsi
riferendosi alle regioni vicine, di cui la Basilicata ha da sempre
rappresentato la sorella povera: «Qui a Potenza siamo gente semplice come i
campani dell’Irpinia»; «Qui a Matera siamo aperti e intraprendenti come i
pugliesi della costa»…
Se la Puglia è terra di pietra e
vento, la Basilicata è invece la patria dell’acqua, grondante di fiumi,
torrenti e fiumare che solcano i monti verdeggianti del potentino e i brulli
calanchi del materano.
Un ampio tratto del nostro
itinerario segue la valle dell’Ofanto,
il cui nome, come ci narra la nostra amica Antonietta riportando la leggenda
locale, deriva dall’esclamazione disperata del console romano sconfitto nella
cruenta battaglia di Canne, che, alla vista delle acque del fiume arrossate dal
sangue dei suoi soldati, sospirò: “Oh
fanti miei perduti!”
Un’interessante
presentazione naturalistica della valle dell’Ofanto:
L’altro bacino artificiale che
costeggiamo lungo il nostro percorso è il lago del
Rendina
(detto anche di Abate Alonia): segnato sulla mappa come una grande macchia
azzurra, è in realtà un immenso patchwork di campi e incolti completamente
prosciugato, che si estende come una tremolante lacrima oblunga dall’orlo netto
della diga, in ristrutturazione, pare, dal terremoto che devastò l’Irpinia nel
1980. È in corso un’interrogazione parlamentare che propone di riprendere i
lavori per la riqualificazione dell’opera, idealmente sfruttabile per la
produzione di energia idroelettrica; qui l’atto:
Il corso dell’Ofanto delimita a
nord la zona del Vulture, il massiccio vulcanico che ospita nei suoi crateri – spenti
ormai da millenni – gli incantevoli laghi gemelli di Monticchio. Le fatiche della salita sono ben
ripagate dal paesaggio paradisiaco che circonda questi specchi d’acqua smeraldina,
coronati da boschi di faggi e querce ricchi di sorgenti minerali (la più famosa
è la Gaudianello).
In paese attiriamo l’attenzione di Giovanni, che ci fa
assaggiare l’acqua oligominerale che esce dai suoi rubinetti, commentando
laconico: «Io a casa mi faccio la doccia con l’acqua frizzante!» È inquietante
apprendere che la totalità delle sorgenti locali è in mano a compagnie
multinazionali e che ciò ha decretato ovunque la chiusura delle fontane
pubbliche. Le aziende di imbottigliamento rappresentano comunque le principali fonti
di sostentamento nell’area, massimamente apprezzate in tempi di crisi:
l’ennesimo sintomo della schizofrenia sistemica del modello consumista.
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