lunedì 3 marzo 2014

La civiltà etrusca, il fiume Fiora e l'idroelettrico

Eppure ci avevano avvertito, sia Giovanni, uno dei custodi dell’oasi di Burano, sia il pastore incontrato lungo la strada: «Con tutta la pioggia dei giorni scorsi, non so la strada in che condizioni sarà…»

Ma cosa non si fa pur di evitare l’Aurelia! Così, salutata la laguna ridente di sole e di vento, ci siamo messi in sella in direzione di Vulci, attraverso la scorciatoia detta “Del Corridore”, che si snoda nella campagna rigogliosa dell’Etruria di prati arati, pascoli verdeggianti e tappeti sconfinati di favino e camomilla.

Il percorso è una goduriosa strada bianca che scorre amena e deserta tra poggi e fossi sfavillanti nell’aria profumata già di maggio, ma nei tratti sterrati il nostro tandem rivela tutti i limiti del modello da corsa: la densa argilla di questa terra grassa e florida si compatta in spesse zolle pesanti e appiccicose sotto le suole, le ruote, i freni, i parafanghi, insomma su tutte le superfici dove riesce ad aggrapparsi, rendendo la marcia praticamente impossibile. Man mano che ci impantaniamo sempre di più, ci risuona nelle orecchie l’ammonimento profetico lanciato dal pastore: «Di sicuro vi sporcate le scarpe». In effetti, ci vuole un’ora di idrante per pulire di nuovo la bicicletta.


L’impressionante sito archeologico di Vulci, comunque, val bene un po’ di fango. Giovanni ce lo descrive con queste parole: «Vulci ha, per l’archeologia etrusca, un’importanza paragonabile a quella di Pompei. I suoi scavi hanno portato alla luce scoperte che hanno rivoluzionato gli assunti dell’archeologia su questa zona dell’Etruria fino a quel momento. La più famosa è la tomba François, che ha riscritto tutte le basi dell’architettura e della cultura etrusca delle necropoli. Anche recentemente Vulci continua a riservarci tesori inestimabili: risale a pochi mesi fa il ritrovamento di un’altra tomba dove sono state rinvenute mani d’argento mai trovate prima nell’area, che hanno di nuovo messo in discussione le ipotesi precedenti.»

Giovanni gestisce un’associazione attiva sul fronte dell’ambientalismo, la cooperativa LeAli, che promuove una pregevole iniziativa riguardo al turismo sostenibile: propone infatti una serie di suggestivi itinerari di interesse naturalistico, storico ed etnologico attraverso l’affascinante territorio della Maremma tosco-laziale e della Tuscia, pensati su misura per tutti i tipi di camminatori che vogliano esplorare il ricco patrimonio ambientale e culturale di queste zone. Il sito: http://www.percorsietruschi.it/

Vulci è il segno monumentale dell’amplesso voluttuoso della civiltà etrusca con la sua terra. Le rovine grandiose e desolate ci rapiscono immediatamente in un respiro maestoso e irreale che sembra spirare intatto da secoli. A ogni passo ci sentiamo così testimoni di un interminabile avvicendarsi di storie e stagioni, durante le quali l’uomo ha modellato i caratteri del paesaggio che ha scolpito a sua volta le forme ineffabili della sua cultura e della sua anima.

Ammutoliti e in ascolto camminiamo sui lucidi, imponenti blocchi calcarei solcati per millenni da ruote di carri, zoccoli di muli, piedi scalzi, che hanno levigato la superficie delle vie romane di cui ancora oggi si intuisce la geometria geniale.























Incantati e in pace attraversiamo i prati disseminati di rovine, tra le quali errano indisturbate mandrie di cavalli bai e di mucche dal manto turchino delle autoctone razze maremmane.


Strabiliati e in giubilo raccogliamo l’ortica in una radura ombrosa ai margini dei pascoli, dove una speciale congiuntura di spazio e tempo sembra dotare la pianta di un rigoglio spettacolare e portentoso. 



Nella storica località di “Ponte Rotto”, rimaniamo sbigottiti di ritrovarci davvero davanti al colossale rottame di un moderno ponte stradale, divelto dalla furia dell’alluvione del Fiora di un paio d’anni fa.


Appena pochi chilometri più a monte, al contrario, il ponte del Diavolo (terzo secolo a.C.) resiste imperturbabile accanto al castello della Badia, vuoi in virtù della mente diabolica del suo leggendario costruttore, vuoi in memoria di una saggezza ancestrale che l’accelerazione contemporanea ha sepolto in una colata effimera di cemento e ferro arrugginito.


La rovinosa alluvione sommerse anche la città di Vulci, e le conseguenze devastanti sono tuttora visibili nello stato di alcuni siti, che non sono stati adeguatamente recuperati a causa della mancanza di fondi. La bigliettaia del castello attribuisce la responsabilità dell’accaduto alla diga dell’Enel costruita sul Fiora. Certamente le gole impervie sul letto stretto e tortuoso del fiume parlano di uno scroscio millenario di acque impetuose e impietose, e di una storia altrettanto lunga e implacabile di interventi artificiali sul corso del torrente. Dal canto nostro abbiamo l’occasione di visitare il piccolo impianto idro-elettrico istallato nei pressi di Vulci, alimentato da un lungo canale che convoglia l’acqua a caduta su tre turbine di media potenza. L’impatto visivo è ridotto, a livello ambientale costituisce un’ottima soluzione. Si trova comunque in una zona ad alta criticità ambientale che meriterebbe ben altre considerazioni e valutazioni tecniche.





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