mercoledì 1 ottobre 2014

La Sicilia in bicicletta

In nessun’altro luogo come in Sicilia ho intuito e apprezzato il vero senso del viaggiare in bicicletta. Arrivando in Sicilia in treno, in autobus o in autostop, infatti, i mezzi ti conducono nelle stazioni, ti accompagnano presso amene località balneari, ti scortano fino ai centri delle città che vale la pena visitare, corti dorate addobbate a festa che accolgono il visitatore come un invitato di riguardo, con la gentilezza cerimoniosa che spesso guarnisce l’ospitalità siciliana. Quello che c’è in mezzo a queste oasi felici si vede passare dal finestrino come il montaggio di un film surrealista, un guazzabuglio di immagini di cui non si sente l’odore e che scivolano via dalla memoria perché non si attaccano ai sensi.

Attraversare la Sicilia in bicicletta è invece innanzitutto un viaggio dei sensi e, inoltre, un’esplorazione dell’anima: si resta frastornati dal caleidoscopio infinitamente variegato dei suoi scorci, l’incanto delle baie e la desolazione delle campagne, la magnificenza delle vestigia storiche e l’incuria delle periferie, la sontuosità della pasticceria e l’eterogeneità dei mercati rionali; si arriva curiosi, pieni di aspettative e desideri, e si parte cambiati, svuotati di molte certezze, arricchiti dalla scoperta dell’avvincente spirito siciliano, che pur nell’incostanza delle sue manifestazioni – tanto generoso, tragico, passionale, quanto schivo, astratto, meditabondo – si fa riconoscere per un carattere distintivo, quello che il Gattopardo definisce onirico, in quanto partecipa della stessa iperbolica densità e della stessa arbitrarietà del sogno.


Onirica è la Sicilia, fin nelle più remote pieghe del suo paesaggio; e tutto, arance e arancini, cannoli e cassate, dolcezza e fatalismo, ricchezza e povertà, le insuperate eccellenze di arte e letteratura come le violenze inaudite di mafia e crimine organizzato, ogni cosa riverbera della natura di «questo paesaggio che ignora le vie di mezzo fra la mollezza lasciva e l’asprezza dannata; che non è mai meschino, terra terra, distensivo, umano, come dovrebbe essere fatto un paese per la dimora di esseri razionali».

Soltanto un mezzo votato all’esplorazione ma rispettoso come la bicicletta può dare merito e rendere giustizia a un territorio tanto complesso, capace di appagare il viaggiatore a pedali con panorami sempre diversi, incontri pittoreschi e delizie di stagione a basso costo, e al contempo così bisognoso di essere scoperto da un turismo responsabile che ponga freno alle speculazioni che lo costellano e ne porti invece alla ribalta le bellezze superstiti e ineguagliabili.

Il nostro giro della Sicilia in libertandem parte da Palermo (dove siamo arrivati con il traghetto settimanale da Cagliari), si inoltra nell’interno dell’isola attraverso i rilievi delle Madonie e dei monti Sicani e percorre poi la costa meridionale e orientale da Agrigento fino a Messina. È un itinerario che rende l’idea della varietà del territorio siciliano e attraversa una parte dell’entroterra montuoso non eccessivamente ripida e perciò facile da pedalare. L’estate mite ha reso piacevole tutto il percorso, mentre in altri anni il caldo potrebbe essere più duro da affrontare: nell’agrigentino tutti si lamentavano infatti dell’estate mancata, descrivendoci lo scirocco che di solito imperversa da quelle parti e rende l’aria densa e irrespirabile. Sono d’altronde zone che si apprezzano massimamente d’inverno e nelle mezze stagioni, ma quest’estate di sole gentile e frutta succulenta ci ha regalato il clima ideale per pedalare.


Tappe imperdibili che non abbiamo incluso nel percorso perché già esplorate a piedi (e che ci sono effettivamente molto mancate) sono la riserva dello Zingaro a nord di Trapani, sulla penisola che culmina con San Vito Lo Capo, e la vetta dell’Etna, gioielli emblematici del patrimonio naturalistico dell’intera Sicilia, i cui panorami mozzafiato dal sapore unico sono ancora in grado di offrire un autentico incontro con la cultura della terra e delle sue risorse, che in altre aree sfruttate fino allo sfinimento – come la piana di Gela tutta serre e i tratti di costa devastati dall’industria petrolifera – si è irrimediabilmente inquinata e corrotta.

Partiamo allora da Palermo, apoteosi dell’accoglienza per i viaggiatori, dove l’eccellenza dell’ospitalità siciliana s’incarna per noi nella famiglia Arcuri. I genitori di Giorgio, appassionato cicloviaggiatore e avventuriero conosciuto tramite WarmShower, ci aprono casa e cuori iniziandoci alle gioie del capoluogo siculo.


Gli sfarzosi mercati di Palermo ricordano i variopinti bazar delle medine arabe per la profusione di profumi, leccornie, spezie e cibo di strada che inondano i pittoreschi rioni della città vecchia. Oltre ai saporiti babbaluci (lumache), piatto tradizionalmente consumato in occasione del festino dell’amata patrona Santa Rosalia, ci concediamo varie specialità – sfincione, panelle, arancini, gelati…


Ogni scorcio della città rimanda alle contaminazioni culturali che si sono sedimentate nei secoli nel substrato fertile della cultura cittadina: dall’estrosa architettura, dove gli stili si rincorrono in picaresche carambole di commistioni ed evocazioni, ai rigogliosi ficus ridondanti di liane e animati dallo stridulo vociare di pappagallini colorati, dalle facce brunite illuminate da stupefacenti occhi color del cielo ai boccoli biondi delle sante locali, tutto parla di uno schianto tra culture che continuano a mescolarsi da tempi immemorabili.




Un esempio contemporaneo di quest’infinita storia di scontri e incontri lo ritroviamo anche sui monti delle Madonie. Risalendo dalla spiaggia di Campofelice in pendenza graduale ma costante fino alle pinete di Collesano e il passo di Piano Battaglia (1600 m s.l.m.), ci imbattiamo infatti nei fantasmi di capienti alberghi, un tempo rinomate stazioni sciistiche, che alloggiano adesso i migranti sbarcati a frotte sulle coste siciliane. Veniamo ospitati a Piano Zucchi da padre Imrich, eremita slovacco che condivide la pace e l’esilio di queste solitarie contrade montane con la sua allegra asinella, gli sventurati profughi e gli ultimi pastori di Piano Battaglia, che ci offrono un eccezionale formaggio d’alta quota.


La discesa verso Polizzi Generosa ci regala un arioso panorama pseudo-dolomitico, coronato da bronzei picchi calcarei, ombrose macchie di pinete e candidi paesini arroccati.


Proseguiamo in direzione sud-ovest percorrendo l’intricata rete di provinciali deserte e di diroccate strade bianche che attraversa l’entroterra; all’altezza di Cammerata cominciamo a risalire sui monti Sicani per raggiungere l’eremo di Santa Rosalia sulla serra Quisquina, dove si respira ancora un po’ di aria montana nelle foreste di querce che sopravvivono grazie al rimboschimento in una zona altrimenti tutta coltivata a grano. L’eremo è ben curato, interessante la visita e suggestivo l’ingresso nella grotta dove la santa trascorse i primi anni del suo eremitaggio.


La discesa verso Ribera ci porta nel granaio d’Italia, che sembra un’infinita Val d’Orcia di dolci colline d’un biondo desolato. Sorprendentemente troviamo fontanili di fresca acqua corrente anche qui, ma ci capita più di una volta che all’improvviso l’acqua smetta di zampillare nel bel mezzo di una pausa-pranzo…


Raggiungiamo la costa sud nella riserva della foce del fiume Platani, dove ammiriamo il susseguirsi di graziose calette e spiagge dorate dal sentiero che si snoda sullo strapiombo sabbioso tra macchie di cisti e fichi d’India. Memorabile nottata tra il canneto e la spiaggia, rintanati in tenda al riparo dall’aggressione di nugoli di zanzare voraci.








Nella nostra pedalata lungo il lembo più meridionale d’Italia troviamo un compagno di viaggio d’eccezione, Simon, che sta terminando il periplo dell’isola in bicicletta.


L’abbagliante Scala dei Turchi ce la guardiamo dall’alto: è talmente invasa di villeggianti della domenica che non c’è nemmeno spazio per parcheggiare la bicicletta. Così puntiamo diretti verso la perla del sud, la splendida Agrigento. 


Il gentilissimo direttore della Valle dei Templi ci accoglie nel maestoso museo all’aria aperta per illustrarci le iniziative intraprese al fine di aprire le porte del parco all’affluenza di ciclo-turisti. A questo scopo sono stati predisposti percorsi ciclabili limitrofi alla via sacra – che unisce i grandiosi templi di Giunone, della Concordia e di Ercole – che consentono di esplorare l’intero potenziale della Valle dei Templi: l’area del parco, infatti, non comprende soltanto l’inestimabile complesso archeologico, ma anche un vasto patrimonio naturalistico che si estende dal panorama agricolo di uliveti e mandorleti secolari al paesaggio mediterraneo delle valli dei fiumi S. Biagio e S. Anna, confluenti verso il mare nel fiume S. Leone.


Proprio nella località balneare di San Leone troviamo il posto ideale per campeggiare nella tranquilla pineta a ridosso della spiaggia, e ci gustiamo un gelato esagerato con mousse di ricotta al Ragno d’Oro.


Il tratto di itinerario tra Agrigento a Pachino è senz’altro il pezzo di Sicilia che ci impressiona di più: una distesa interminabile di serre che toglie letteralmente il respiro. L’unica nota di colore nel panorama desolato, riarso e senza scampo è la serie di bandiere e slogan agghiaccianti dei presidi degli operai dell’Eni, in protesta contro i tagli alla raffineria di Gela.



L’estrema propaggine meridionale dell’Isola delle Correnti è una nuova boccata di aria fresca. Nella lingua d’acqua che si guada per raggiungere il faro è uno spasso nuotare dallo Ionio al Canale di Sicilia per sentire addosso la diversa consistenza dei due mari che qui si incontrano in un turbinio di correnti.


Giunti al giro di boa, riprendiamo a pedalare verso nord, inaugurando finalmente il viaggio da Pachino a Pechino… Entriamo così nell’elegante e pittoresca provincia di Siracusa, che ci accoglie con il vivace borgo marinaro di Marzamemi e la serafica oasi naturalistica di Vendicari.


Qui siamo ospiti di Claudio ed Ester, che con il progetto Agribike hanno trasformato il piccolo podere di famiglia in un agriturismo aperto in particolare ai viaggiatori a pedali: Claudio, appassionato ciclista con un’ottima conoscenza del territorio, ci mostra la ciclo-stazione che ha allestito per gli ospiti e ci descrive entusiasta un’infinità di itinerari in zona ideali da percorrere in bicicletta. L’agriturismo, a due passi dalla riserva di Vendicari e immerso tra ulivi, mandorli, azzeruoli e orti votati da sempre all’agricoltura biologica, è una postazione perfetta per esplorare le bellezze del siracusano, dalle eleganti città barocche agli incantevoli scorci naturalistici (info sulla pagina fb Uliveto di Vendicari).


Cominciamo con la spiaggia dorata di Marianelli. La discesa verso la baia isolata ci regala anche una bella scorpacciata di succulente more di gelso.



Pochi chilometri più a nord la notissima Noto, capitale del barocco siciliano, ci riserva una serie di incontri memorabili: una torma di euforici bambini incuriositi dal tandem, il gruppo di Scicli Mtb Pedalando e Passeggiando e due cicloturisti provenienti nientepopodimeno che da Prato!


Merita sicuramente una visita Siracusa, dove entriamo accompagnati da Michele, caro amico d’infanzia, che ci scorta in bicicletta nella penisola Maddalena attraverso le campagne costiere dell’area protetta del Plemmirio e di Isola, fino a raggiungere agevolmente Ortigia, lo splendido centro storico della città.


Un autentico gioiello che rende unica questa zona è la riserva di Cavagrande del Cassibile, una verde ferita pulsante d’acqua sorgiva che squarcia l’altopiano brullo del tavolato ibleo. L’accesso ai laghetti principali è chiuso a causa dell’incendio che pochi mesi fa ha devastato la vegetazione e reso perciò instabile il sentiero che si inerpica su un versante del canyon; tuttavia, proseguendo per circa un chilometro più a monte sulla provinciale Avola – Manghisi, si incontra un altro viottolo (segnalato dall’indicazione “Via Madonna di Lourdes”) che si inoltra nella stretta vallata, rasenta la parete del canyon e porta ad alcuni paradisiaci laghetti d’acqua cristallina immersi in una densa macchia di lecci e oleandri.








































Da Cassibile ci addentriamo sui monti Iblei fino a Palazzolo Acreide, interessante centro greco-barocco che ospita il complesso archeologico di Akrai e il santuario rupestre dei Santoni. Ai piedi del borgo arroccato parte la tappa più bella del nostro viaggio in Sicilia: intercettiamo un sentiero sterrato (per brevi tratti inghiottito dal sottobosco) che costeggia il corso del fiume Anapo, dipanandosi interamente lungo il vecchio tracciato di una ferrovia dismessa. La pista diventa una comoda strada bianca all’ingresso della spettacolare riserva di Pantalica, una profonda gola ricoperta di fitte foreste di salici, pioppi e platani, incuneata tra rocce a strapiombo ricche di necropoli, villaggi rupestri e grotte abitate fin dalla preistoria.





A Sortino lasciamo la voce mormorante del fiume e proseguiamo in direzione di Carlentini per fare visita all’eco-villaggio Ciumara Ranni, una realtà da poco attiva che conta però molti aspetti positivi: giovani partecipanti volenterosi e caparbi; un potenziale paesaggistico inestimabile – essendo situata in una valle fertile e ricca d’acqua –; buoni rapporti di amicizia e collaborazione con i contadini confinanti; una prospettiva salutista basata sulla dieta vegana che si concretizza in ottime soluzioni come la rocket stove e il forno a barile.

Della nostra fuga finale verso Messina, con la macchina fotografica rotta e l’incombere del maltempo, ci resta soltanto il ricordo della cupa sagoma dell’Etna tuonante che ci saluta con i suoi bruschi brontolii, del vorticoso abbraccio della vibrante città di Catania e dei meravigliosi scenari della baia di Taormina.


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