In nessun’altro luogo come in
Sicilia ho intuito e apprezzato il vero senso del viaggiare in bicicletta. Arrivando
in Sicilia in treno, in autobus o in autostop, infatti, i mezzi ti conducono
nelle stazioni, ti accompagnano presso amene località balneari, ti scortano fino
ai centri delle città che vale la pena visitare, corti dorate addobbate a festa
che accolgono il visitatore come un invitato di riguardo, con la gentilezza
cerimoniosa che spesso guarnisce l’ospitalità siciliana. Quello che c’è in
mezzo a queste oasi felici si vede passare dal finestrino come il montaggio di
un film surrealista, un guazzabuglio di immagini di cui non si sente l’odore e
che scivolano via dalla memoria perché non si attaccano ai sensi.
Attraversare la Sicilia in
bicicletta è invece innanzitutto un viaggio dei sensi e, inoltre, un’esplorazione
dell’anima: si resta frastornati dal caleidoscopio infinitamente variegato dei
suoi scorci, l’incanto delle baie e la desolazione delle campagne, la magnificenza
delle vestigia storiche e l’incuria delle periferie, la sontuosità della
pasticceria e l’eterogeneità dei mercati rionali; si arriva curiosi, pieni di
aspettative e desideri, e si parte cambiati, svuotati di molte certezze,
arricchiti dalla scoperta dell’avvincente spirito siciliano, che pur nell’incostanza
delle sue manifestazioni – tanto generoso, tragico, passionale, quanto schivo,
astratto, meditabondo – si fa riconoscere per un carattere distintivo, quello
che il Gattopardo definisce onirico, in quanto partecipa della stessa
iperbolica densità e della stessa arbitrarietà del sogno.
Onirica è la Sicilia, fin nelle
più remote pieghe del suo paesaggio; e tutto, arance e arancini, cannoli e
cassate, dolcezza e fatalismo, ricchezza e povertà, le insuperate eccellenze di
arte e letteratura come le violenze inaudite di mafia e crimine organizzato, ogni
cosa riverbera della natura di «questo paesaggio che ignora le vie di mezzo fra
la mollezza lasciva e l’asprezza dannata; che non è mai meschino, terra terra,
distensivo, umano, come dovrebbe essere fatto un paese per la dimora di esseri
razionali».
Soltanto un mezzo votato
all’esplorazione ma rispettoso come la bicicletta può dare merito e rendere
giustizia a un territorio tanto complesso, capace di appagare il viaggiatore a
pedali con panorami sempre diversi, incontri pittoreschi e delizie di stagione
a basso costo, e al contempo così bisognoso di essere scoperto da un turismo
responsabile che ponga freno alle speculazioni che lo costellano e ne porti invece
alla ribalta le bellezze superstiti e ineguagliabili.
Il nostro giro della Sicilia in
libertandem parte da Palermo (dove siamo arrivati con il traghetto settimanale
da Cagliari), si inoltra nell’interno dell’isola attraverso i rilievi delle
Madonie e dei monti Sicani e percorre poi la costa meridionale e orientale da
Agrigento fino a Messina. È un itinerario che rende l’idea della varietà del
territorio siciliano e attraversa una parte dell’entroterra montuoso non
eccessivamente ripida e perciò facile da pedalare. L’estate mite ha reso
piacevole tutto il percorso, mentre in altri anni il caldo potrebbe essere più
duro da affrontare: nell’agrigentino tutti si lamentavano infatti dell’estate mancata,
descrivendoci lo scirocco che di solito imperversa da quelle parti e rende
l’aria densa e irrespirabile. Sono d’altronde zone che si apprezzano
massimamente d’inverno e nelle mezze stagioni, ma quest’estate di sole gentile
e frutta succulenta ci ha regalato il clima ideale per pedalare.
Tappe imperdibili che non abbiamo
incluso nel percorso perché già esplorate a piedi (e che ci sono effettivamente
molto mancate) sono la riserva dello Zingaro
a nord di Trapani, sulla penisola che culmina con San Vito Lo Capo, e la vetta
dell’Etna, gioielli emblematici del
patrimonio naturalistico dell’intera Sicilia, i cui panorami mozzafiato dal
sapore unico sono ancora in grado di offrire un autentico incontro con la
cultura della terra e delle sue risorse, che in altre aree sfruttate fino allo
sfinimento – come la piana di Gela tutta serre e i tratti di costa devastati
dall’industria petrolifera – si è irrimediabilmente inquinata e corrotta.
Partiamo allora da Palermo, apoteosi dell’accoglienza per
i viaggiatori, dove l’eccellenza dell’ospitalità siciliana s’incarna per noi nella
famiglia Arcuri. I genitori di Giorgio, appassionato cicloviaggiatore e
avventuriero conosciuto tramite WarmShower, ci aprono casa e cuori iniziandoci
alle gioie del capoluogo siculo.
Gli sfarzosi mercati di Palermo
ricordano i variopinti bazar delle medine arabe per la profusione di profumi, leccornie,
spezie e cibo di strada che inondano
i pittoreschi rioni della città vecchia. Oltre ai saporiti babbaluci (lumache),
piatto tradizionalmente consumato in occasione del festino dell’amata patrona
Santa Rosalia, ci concediamo varie specialità – sfincione, panelle, arancini,
gelati…
Ogni scorcio della città rimanda alle
contaminazioni culturali che si sono sedimentate nei secoli nel substrato
fertile della cultura cittadina: dall’estrosa architettura, dove gli stili si
rincorrono in picaresche carambole di commistioni ed evocazioni, ai rigogliosi
ficus ridondanti di liane e animati dallo stridulo vociare di pappagallini
colorati, dalle facce brunite illuminate da stupefacenti occhi color del cielo
ai boccoli biondi delle sante locali, tutto parla di uno schianto tra culture
che continuano a mescolarsi da tempi immemorabili.
Un esempio contemporaneo di
quest’infinita storia di scontri e incontri lo ritroviamo anche sui monti delle Madonie. Risalendo dalla
spiaggia di Campofelice in pendenza graduale ma costante fino alle pinete di Collesano
e il passo di Piano Battaglia (1600 m s.l.m.), ci imbattiamo infatti nei
fantasmi di capienti alberghi, un tempo rinomate stazioni sciistiche, che
alloggiano adesso i migranti sbarcati a frotte sulle coste siciliane. Veniamo
ospitati a Piano Zucchi da padre Imrich, eremita slovacco che condivide la pace
e l’esilio di queste solitarie contrade montane con la sua allegra asinella, gli sventurati profughi e gli ultimi pastori di Piano Battaglia, che ci offrono un eccezionale formaggio
d’alta quota.
La discesa verso Polizzi Generosa
ci regala un arioso panorama pseudo-dolomitico, coronato da bronzei picchi
calcarei, ombrose macchie di pinete e candidi paesini arroccati.
Proseguiamo in direzione
sud-ovest percorrendo l’intricata rete di provinciali deserte e di diroccate
strade bianche che attraversa l’entroterra; all’altezza di Cammerata cominciamo
a risalire sui monti Sicani per raggiungere
l’eremo di Santa Rosalia sulla serra Quisquina, dove si respira ancora un po’
di aria montana nelle foreste di querce che sopravvivono grazie al
rimboschimento in una zona altrimenti tutta coltivata a grano. L’eremo è ben
curato, interessante la visita e suggestivo l’ingresso nella grotta dove la
santa trascorse i primi anni del suo eremitaggio.
La discesa verso Ribera ci porta
nel granaio d’Italia, che sembra un’infinita Val d’Orcia di dolci colline d’un biondo
desolato. Sorprendentemente troviamo fontanili di fresca acqua corrente anche
qui, ma ci capita più di una volta che all’improvviso l’acqua smetta di
zampillare nel bel mezzo di una pausa-pranzo…
Raggiungiamo la costa sud nella riserva della foce del fiume Platani,
dove ammiriamo il susseguirsi di graziose calette e spiagge dorate dal sentiero
che si snoda sullo strapiombo sabbioso tra macchie di cisti e fichi d’India.
Memorabile nottata tra il canneto e la spiaggia, rintanati in tenda al riparo
dall’aggressione di nugoli di zanzare voraci.
Nella nostra pedalata lungo il
lembo più meridionale d’Italia troviamo un compagno di viaggio d’eccezione,
Simon, che sta terminando il periplo dell’isola in bicicletta.
Il
gentilissimo direttore della Valle dei
Templi ci accoglie nel maestoso museo all’aria aperta per illustrarci le
iniziative intraprese al fine di aprire le porte del parco all’affluenza di ciclo-turisti.
A questo scopo sono stati predisposti percorsi ciclabili limitrofi alla via
sacra – che unisce i grandiosi templi di Giunone, della Concordia e di Ercole –
che consentono di esplorare l’intero potenziale della Valle dei Templi: l’area
del parco, infatti, non comprende soltanto l’inestimabile complesso
archeologico, ma anche un vasto patrimonio naturalistico che si estende dal
panorama agricolo di uliveti e mandorleti secolari al paesaggio mediterraneo
delle valli dei fiumi S. Biagio e S. Anna, confluenti verso il mare nel fiume
S. Leone.
Proprio nella località balneare
di San Leone troviamo il posto ideale per campeggiare nella tranquilla pineta a
ridosso della spiaggia, e ci gustiamo un gelato esagerato con mousse di ricotta
al Ragno d’Oro.
Il tratto di itinerario tra
Agrigento a Pachino è senz’altro il pezzo di Sicilia che ci impressiona di più:
una distesa interminabile di serre che toglie letteralmente il respiro. L’unica
nota di colore nel panorama desolato, riarso e senza scampo è la serie di
bandiere e slogan agghiaccianti dei presidi degli operai dell’Eni, in protesta
contro i tagli alla raffineria di Gela.
L’estrema propaggine meridionale
dell’Isola delle Correnti è una
nuova boccata di aria fresca. Nella lingua d’acqua che si guada per raggiungere
il faro è uno spasso nuotare dallo Ionio al Canale di Sicilia per sentire
addosso la diversa consistenza dei due mari che qui si incontrano in un
turbinio di correnti.
Giunti al giro di boa, riprendiamo a pedalare verso nord, inaugurando
finalmente il viaggio da Pachino a Pechino… Entriamo così nell’elegante e
pittoresca provincia di Siracusa, che ci accoglie con il vivace borgo marinaro di
Marzamemi e la serafica oasi naturalistica di Vendicari.
Qui siamo ospiti di Claudio ed
Ester, che con il progetto Agribike hanno trasformato il piccolo podere di
famiglia in un agriturismo aperto in particolare ai viaggiatori a pedali:
Claudio, appassionato ciclista con un’ottima conoscenza del territorio, ci
mostra la ciclo-stazione che ha allestito per gli ospiti e ci descrive
entusiasta un’infinità di itinerari in zona ideali da percorrere in bicicletta.
L’agriturismo, a due passi dalla riserva di Vendicari e immerso tra ulivi,
mandorli, azzeruoli e orti votati da sempre all’agricoltura biologica, è una
postazione perfetta per esplorare le bellezze del siracusano, dalle eleganti
città barocche agli incantevoli scorci naturalistici (info sulla pagina fb Uliveto
di Vendicari).
Cominciamo con la spiaggia dorata
di Marianelli. La discesa verso la baia isolata ci regala anche una bella
scorpacciata di succulente more di gelso.
Pochi chilometri più a nord la
notissima Noto, capitale del barocco
siciliano, ci riserva una serie di incontri memorabili: una torma di euforici bambini
incuriositi dal tandem, il gruppo di Scicli Mtb Pedalando e Passeggiando e due
cicloturisti provenienti nientepopodimeno che da Prato!
Merita sicuramente una visita Siracusa, dove entriamo accompagnati da
Michele, caro amico d’infanzia, che ci scorta in bicicletta nella penisola
Maddalena attraverso le campagne costiere dell’area protetta del Plemmirio e di
Isola, fino a raggiungere agevolmente Ortigia,
lo splendido centro storico della città.
Un autentico gioiello che rende
unica questa zona è la riserva di Cavagrande
del Cassibile, una verde ferita pulsante d’acqua sorgiva che squarcia l’altopiano
brullo del tavolato ibleo. L’accesso
ai laghetti principali è chiuso a causa dell’incendio che pochi mesi fa ha
devastato la vegetazione e reso perciò instabile il sentiero che si inerpica su
un versante del canyon; tuttavia, proseguendo per circa un chilometro più a
monte sulla provinciale Avola – Manghisi, si incontra un altro viottolo (segnalato
dall’indicazione “Via Madonna di Lourdes”) che si inoltra nella stretta vallata,
rasenta la parete del canyon e porta ad alcuni paradisiaci laghetti d’acqua cristallina
immersi in una densa macchia di lecci e oleandri.
Da Cassibile ci addentriamo sui
monti Iblei fino a Palazzolo Acreide,
interessante centro greco-barocco che ospita il complesso archeologico di Akrai
e il santuario rupestre dei Santoni. Ai piedi del borgo arroccato parte la
tappa più bella del nostro viaggio in Sicilia: intercettiamo un sentiero
sterrato (per brevi tratti inghiottito dal sottobosco) che costeggia il corso
del fiume Anapo, dipanandosi interamente lungo il vecchio tracciato di una
ferrovia dismessa. La pista diventa una comoda strada bianca all’ingresso della
spettacolare riserva di Pantalica, una
profonda gola ricoperta di fitte foreste di salici, pioppi e platani, incuneata
tra rocce a strapiombo ricche di necropoli, villaggi rupestri e grotte abitate
fin dalla preistoria.
A Sortino lasciamo la voce
mormorante del fiume e proseguiamo in direzione di Carlentini per fare visita
all’eco-villaggio Ciumara Ranni, una
realtà da poco attiva che conta però molti aspetti positivi: giovani
partecipanti volenterosi e caparbi; un potenziale paesaggistico inestimabile –
essendo situata in una valle fertile e ricca d’acqua –; buoni rapporti di
amicizia e collaborazione con i contadini confinanti; una prospettiva salutista
basata sulla dieta vegana che si concretizza in ottime soluzioni come la rocket
stove e il forno a barile.
Della nostra fuga finale verso
Messina, con la macchina fotografica rotta e l’incombere del maltempo, ci resta
soltanto il ricordo della cupa sagoma dell’Etna
tuonante che ci saluta con i suoi bruschi brontolii, del vorticoso
abbraccio della vibrante città di Catania e dei meravigliosi scenari della baia
di Taormina.
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