martedì 2 settembre 2014

La Sardegna in bicicletta

Fin dal suo primo affiorare improvviso nell’orizzonte caliginoso del mattino, la Sardegna coglie alla sprovvista il vacanziere che emerge assonnato dalla penombra stantia dello sbuffante ventre d’acciaio della nave. Il viaggiatore si stropiccia gli occhi cercando di mettere a fuoco il profilo sformato che si delinea sempre più vicino in mezzo al deserto blu del mare, ma l’isola rimane così, sfumata e inafferrabile, una visione sospesa nella bruma lattescente, sirena spiaggiata che lo richiama a sé con un’arcana voce suadente, come l’eco misteriosa dell’evocazione di lidi assolati e territori inesplorati che ha occupato i suoi sogni fino a pochi minuti prima.
Eppure eccola sotto i suoi piedi, finalmente, dopo tanto fantasticare, la mitica terra di Sardegna. Sarà la traversata, sarà la suggestione, sarà che è davvero così, ma posati i primi passi su questo suolo arcaico, il villeggiante è invaso dalla sensazione possente di non trovarsi più sulla zolla italica, e allunga smanioso il collo da ogni lato, pronto a cogliere ogni dettaglio anomalo, ogni scorcio inusuale, ogni intonazione sconosciuta, che lo facciano sentire lontano da casa.
E la terra più antica d’Italia non delude l’aspettativa d’esotismo sottesa al viaggio. Il paesaggio, smussato ma bizzoso, pervaso d’un’energia immensa e immota come uno stagno, saturo d’un’intensa luce bianca che sembra emanare dal suolo e irradiarsi nel cielo, dipinto nell’aria tersa e pura dove gli odori non si propagano, ma si stagliano netti e affilati, dove i suoni non rimbombano, ma sciabordano con la maestosità sommessa della risacca, sembra fissato per sempre in uno spicchio di mondo senza tempo.



Esplorare il territorio sardo in bicicletta è un’esperienza impareggiabile. È forse l’unico modo di immergersi e assaporare con tutti i sensi la sua atmosfera al contempo rarefatta e surreale, oscillante tra la dimensione onirica conferita dalla nomea di natura vergine e tradizione incontaminata, e la densità esasperata di microclimi, enclave sociali, stratificazioni storiche e contaminazioni culturali che hanno impresso la loro ferita aperta e pulsante nel paesaggio.
Già alla prima occhiata ci si accorge che nonostante sia annoverata tra le regioni del sud, la Sardegna è senz’altro un luogo a sé, imparagonabile, irriducibile alle categorie con cui si è soliti classificare il Meridione. Non per niente è un’isola, e di conseguenza ha vissuto una storia tutta sua: tali fattori interdipendenti e imprescindibili ne rendono gli abitanti un popolo compatto, fiero, a tratti ferino, spigoloso, senza compromessi. Il loro carattere sembra un’emanazione e al tempo stesso una cagione della particolare conformazione del territorio, con cui il popolo sardo intrattiene un legame viscerale e indissolubile, che trova la massima espressione nella lingua, accordata su tonalità ancestrali, potenti, evocative, che risuonano nella toponomastica come il vibrare profondo dell’anima dei luoghi, e nella cucina, dominata da prodotti d’eccellenza e d’alta qualità. Dialetto e cibo denotano un localismo accentuato e quasi estremista, che costituisce di per sé il senso ultimo di un viaggio a pedali nell’isola, capace di ammaliare il ciclista che si imbatte in ogni cantone dal nome impronunciabile nell’essenza stessa dell’antico e veemente spirito sardo.

Un aspetto che invece stride e fa sentire il viaggiatore un eterno turista, un ospite di passaggio, a volte uno scomodo intruso, è l’onnipresenza di catene di grande distribuzione e la difficoltà di reperire forme di vendita diretta. Sembra che ci sia scarso interesse a vendere e al turismo in generale come forma di business. Verrebbe da dire “per fortuna!”, considerati i risultati che il turismo massificato ha portato in altre perle del sud. In Sardegna l’affluenza turistica appare radicata solo in alcune isole nell’isola, luoghi celeberrimi e inflazionati in un panorama generalmente tralasciato dal grande pubblico e perciò relativamente intatto.


Il nostro itinerario in libertandem attraversa la Sardegna da Olbia a Cagliari, in un ferro di cavallo rivolto a ovest che esclude gli splendidi territori orientali della Barbagia e dell’Ogliastra. La zona del Gennargentu meriterebbe da sola un altro viaggio; ci siamo stati a piedi qualche hanno fa e la consideriamo superiore al resto dell’isola per la maestosità dei panorami montani e l’ospitalità degli abitanti. Ricordiamo in particolare la distesa di mufloni che ci ha accolto appena valicata la punta Lamarmora e ci ha riaccompagnato nella ridiscesa fino a Desulo, la memorabile ospitalità di Alessandro e Angelo al rifugio Sa Crista (a S’Arena) e le scorpacciate insuperabili di fave, pecorino e mirto all’ombra di profumati carrubi.

Stavolta puntiamo a occidente, attraverso il suggestivo saliscendi della Gallura, tra valloni verdeggianti disseminati di massicce formazioni granitiche che affiorano imponenti tra boschi di sughere secolari. Appena lasciato il traffico di Golfo Aranci e della costa Smeralda diretti nell’entroterra, ci addentriamo in una regione ideale da percorrere in bicicletta: strade in ottime condizioni e deserte, come la mitica statale settentrionale sarda; territorio ricco d’acqua (localmente apprezzatissime le fonti di Tempio Pausania); numerosi siti nuragici aperti al pubblico, spesso i luoghi perfetti per campeggiare. Di seguito le foto delle aree archeologiche presso cui abbiamo messo la tenda.
Il pozzo preistorico di Sa Testa a Pittulongu


Il nuraghe Albucciu ad Arzachena, da dove abbiamo raggiunto, dopo una piacevole camminata in collina tra i pascoli, lo spettacolare tempio Malchittu



L’imponente ziggurat di Monte d’Accoddi – non più in Gallura, ma nella piana della Nurra, vicino a Sassari



Dormire nelle vicinanze di questi autentici spettacoli della natura e dell’archeologia – come nell’antichità i pellegrini che giungevano presso templi e tombe nella speranza di ricevere in sogno il consiglio illuminante e propiziatorio degli antenati – ci trasmette la loro forza arcana, immergendoci nelle maglie di una storia millenaria e svelandone in qualche modo il mistero: contemplando la loro completa armonia con le emergenze geografiche del paesaggio che li circonda, se ne apprezza spontaneamente la funzione originaria di luoghi di culto e di vita quotidiana, e si intuisce il perché queste magnifiche formazioni rocciose venissero erette e adorate, come rifugi, inni alla bellezza, parte integrante e simbolo fondante della vita stessa. La gente con cui parliamo spesso si lamenta del fatto che tali siti preziosi e peculiari siano abbandonati a loro stessi e insufficientemente valorizzati; in effetti, potrebbe essere anche questa esclusione dai circuiti di sfruttamento commerciale a renderli così attraenti, inghiottiti dalla natura, fruibili da molti senza che ciò ne comporti un danneggiamento e un deterioramento cospicuo (se non quello determinato dallo svolgersi ineluttabile del tempo). C’è un rispetto stupefacente dei sardi per i propri luoghi preistorici: non si trovano tracce di spazzatura o sfregi che ne contaminino l’energia atavica e intatta. Forse è proprio questa catena ininterrotta di civiltà – civiltà nel vero senso della parola, che significa orgoglio per la propria comunità e la propria origine, senso d’appartenenza, rispetto della bellezza – forse è questo barlume di conoscenza che ha scavalcato secoli di invasioni e barbarie senza essere travolta e spazzata via, a rendere la Sardegna così unica e straordinaria.

Il nord della Sardegna ci regala inoltre una splendida notte nel bosco di eucalipto che circonda le fonti termali di Santa Maria Coghinas (sorgenti bollenti che sgorgano proprio nel greto del fiume), e due single-track sulla costa, nel folto della macchia mediterranea che ricopre il litorale. Qualche foto del primo, sul golfo di Cugnana appena a nord di Olbia, esemplificativa di quanto fosse fitto e spinoso:


Il secondo è invece un sentiero panoramico che si snoda sulla scogliera tra San Pietro a Mare e il grazioso paese di Castelsardo:


Sassari, invece, è per noi memorabile soprattutto per il piatto di culurgiones (pasta ripiena di un delizioso impasto di formaggio, limone e menta) che ci siamo preparati nel parco




La costa occidentale ci offre piacevoli pedalate tra caratteristici paesini, vedute panoramiche e giornate di mare indimenticabili. Sorprendentemente non è raro incontrare fonti d’acqua fresca proveniente dal Montiferru e dal Monte Linas, il tempo è clemente (almeno lo è stato quest’estate), con il caldo mitigato dal perpetuo soffiare del maestrale, ma alcune salite ci fanno soffrire un po’ (soprattutto quando, tra un tergiversare e l’altro, partiamo a mezzogiorno).

Dalle pianeggianti pinete invase di cinghiali che attraversiamo fino a raggiungere la meravigliosa città di Alghero passiamo poi al continuo saliscendi delle scogliere a picco sul mare che ci portano alla penisola del Sinis, dove riguadagniamo la pianura con il campidano oristanese, gli acquitrini di Cabras e gli appezzamenti tutti mais e fattorie intorno ad Arborea. Più a sud ricominciano i rilievi con i massicci del Sulcis-Iglesiente, degradanti sulla costa in anse sabbiose e formazioni dunali che creano alcune delle spiagge più belle della Sardegna. Ecco qualche scatto dalla nostra discesa lungo il far west sardo. L’incantevole baia di Torre del Porticciolo:

Una cala a nord di Bosa dove ci siamo fermati a raccogliere patelle con un’allegra comitiva di camperisti, per un lancio d’aquilone e una spaghettata in compagnia


Il pittoresco borgo di Bosa


Scorci dalla penisola del Sinis: la sua sinuosa lingua di terra che si allunga fino al faro; tracce improvvisate che si disperdono nella macchia; il villaggio di San Salvatore che rievoca la sceneggiatura di un film western


Prima di raggiungere l’oristanese, una breve incursione della statale nord-occidentale sarda nel Montiferru ci porta ad ammirare l’eccezionale murales che fregia la piazza di Sennariolo

Ritroviamo la stessa originale idea creativa dopo aver superato la piana d’Arborea, negli affreschi che adornano le fontane di San Nicolò d’Arcidano



La pratica di decorare le facciate con murales che ritraggono attività tradizionali trova la sua massima espressione nel paese museo di San sperate, a nord di Cagliari, dove tutte le strade sono effigiate con svariati attacchi d’arte


L’ultimo tratto del litorale di ponente ci delizia con le dune di Piscinas, un’immensa spiaggia di fine sabbia dorata, e il famoso faraglione biancheggiante di Pan di zucchero


La parte finale del viaggio verso il capoluogo, lungo il campidano cagliaritano, non è meno ricca di punti di interesse. Nell’entroterra dell’Iglesiente ci imbattiamo nel villaggio fantasma di Ingurtosu, un tempo fiorente centro minerario, e in un grave incendio appena domato che ha distrutto ettari di foreste di querce nei dintorni di Arbus. Attraversiamo queste zone avvolte da un silenzio innaturale dove la devastazione sembra non conoscere fine: nell’aria greve di fumi e negli scheletri carbonizzati di alberi, campi e colline sembra rivivere l’odore, il colore, l’atmosfera della storia intensa e tragica delle miniere.
Ecco una breve rassegna dei nostri luoghi preferiti nell’ultimo tratto del nostro itinerario sardo. A Sa Spendula, la famosa cascata di Villacidro, incontriamo Enrico, che guidato dal mentore Ercole si allena nel superbo scenario di rocce e oleandri a eseguire salti e acrobazie in bici da trial.

Una foto a San Lucifero per salutare la gentilissima perpetua di Vallermosa

Uno dei luoghi più sorprendenti della regione è senz’altro la grotta di San Giovanni, nei dintorni di Domusnovas, una galleria naturale percorribile in bicicletta che attraversa le magnifiche rocce del Sulcis.



Nel secolare uliveto di Ortu Mannu, presso Villmassargia, trascorriamo una notte incantata al cospetto del grandioso ulivo di Sa Reina, un esemplare di mille anni e dodici metri di diametro

Merita una menzione l’azienda a gestione familiare Le Tre Api di Uta, che produce miele e torrone biologico, sopraffino!!

Di Cagliari, infine, si potrebbe scrivere un intero libro. Entriamo in centro evitando il traffico davvero pauroso delle strade a scorrimento veloce (grazie OruxMap!), attraverso improbabili sentieri di campagna tracciati tra spine e calcinacci che ce ne danno l’immagine in lento avvicinamento di una metropoli spuntata dal nulla del deserto. È in realtà una delle città più belle d’Italia; il suo incanto fiabesco culmina nell’ora del tramonto, che indora i torrioni ocra della cittadella avvolgendo viali e vicoli d’un caldo palpito ambrato: tutta la città sembra allora fermarsi, levare gli occhi e trattenere il respiro al passaggio dei maestosi cortei di fenicotteri che arrossiscono i cieli di Cagliari con il loro lento e regale volo rosato.
A Cagliari abbiamo avuto il privilegio di essere ospitati dai simpaticissimi Gabriele e Rosi, che ringraziamo con affetto, e da Rumundu, l’iron-man sardo tornato da pochi mesi dal giro del mondo in bicicletta. È lui il primo ispiratore del nostro viaggio, ed è stata un’emozione indescrivibile incontrarlo e pedalare con lui.

Salutiamo anche una coppia di mitici sessantenni della Valcamonica che attraversavano la Sardegna in bicicletta nel senso opposto al nostro e ci hanno infuso la loro forza in poche battute.


E un abbraccio a Gaetano e Fiore, che ci hanno ospitato a Funtana Meiga, ricaricandoci della loro allegria, vitalità e altruismo.

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