Fin dal suo primo
affiorare improvviso nell’orizzonte caliginoso del mattino, la Sardegna coglie
alla sprovvista il vacanziere che emerge assonnato dalla penombra stantia dello
sbuffante ventre d’acciaio della nave. Il viaggiatore si stropiccia gli occhi
cercando di mettere a fuoco il profilo sformato che si delinea sempre più
vicino in mezzo al deserto blu del mare, ma l’isola rimane così, sfumata e
inafferrabile, una visione sospesa nella bruma lattescente, sirena spiaggiata
che lo richiama a sé con un’arcana voce suadente, come l’eco misteriosa
dell’evocazione di lidi assolati e territori inesplorati che ha occupato i suoi
sogni fino a pochi minuti prima.
Eppure eccola sotto i
suoi piedi, finalmente, dopo tanto fantasticare, la mitica terra di Sardegna. Sarà
la traversata, sarà la suggestione, sarà che è davvero così, ma posati i primi
passi su questo suolo arcaico, il villeggiante è invaso dalla sensazione possente
di non trovarsi più sulla zolla italica, e allunga smanioso il collo da ogni
lato, pronto a cogliere ogni dettaglio anomalo, ogni scorcio inusuale, ogni
intonazione sconosciuta, che lo facciano sentire lontano da casa.
E la terra più antica d’Italia non delude l’aspettativa d’esotismo
sottesa al viaggio. Il paesaggio, smussato ma bizzoso, pervaso d’un’energia
immensa e immota come uno stagno, saturo d’un’intensa luce bianca che sembra
emanare dal suolo e irradiarsi nel cielo, dipinto nell’aria tersa e pura dove
gli odori non si propagano, ma si stagliano netti e affilati, dove i suoni non
rimbombano, ma sciabordano con la maestosità sommessa della risacca, sembra
fissato per sempre in uno spicchio di mondo senza tempo.
Esplorare il
territorio sardo in bicicletta è un’esperienza impareggiabile. È forse l’unico
modo di immergersi e assaporare con tutti i sensi la sua atmosfera al contempo rarefatta
e surreale, oscillante tra la dimensione onirica conferita dalla nomea di
natura vergine e tradizione incontaminata, e la densità esasperata di microclimi,
enclave sociali, stratificazioni storiche e contaminazioni culturali che hanno
impresso la loro ferita aperta e pulsante nel paesaggio.
Già alla prima occhiata ci si accorge che nonostante sia
annoverata tra le regioni del sud, la Sardegna è senz’altro un luogo a sé, imparagonabile,
irriducibile alle categorie con cui si è soliti classificare il Meridione. Non
per niente è un’isola, e di conseguenza ha vissuto una storia tutta sua: tali
fattori interdipendenti e imprescindibili ne rendono gli abitanti un popolo compatto,
fiero, a tratti ferino, spigoloso, senza compromessi. Il loro carattere sembra
un’emanazione e al tempo stesso una cagione della particolare conformazione del
territorio, con cui il popolo sardo intrattiene un legame viscerale e
indissolubile, che trova la massima espressione nella lingua, accordata su
tonalità ancestrali, potenti, evocative, che risuonano nella toponomastica come
il vibrare profondo dell’anima dei luoghi, e nella cucina, dominata da prodotti
d’eccellenza e d’alta qualità. Dialetto e cibo denotano un localismo accentuato
e quasi estremista, che costituisce di per sé il senso ultimo di un viaggio a
pedali nell’isola, capace di ammaliare il ciclista che si imbatte in ogni
cantone dal nome impronunciabile nell’essenza stessa dell’antico e veemente
spirito sardo.
Un aspetto che invece stride e fa sentire il viaggiatore un eterno
turista, un ospite di passaggio, a volte uno scomodo intruso, è l’onnipresenza
di catene di grande distribuzione e la difficoltà di reperire forme di vendita
diretta. Sembra che ci sia scarso interesse a vendere e al turismo in generale
come forma di business. Verrebbe da dire “per fortuna!”, considerati i
risultati che il turismo massificato ha portato in altre perle del sud. In
Sardegna l’affluenza turistica appare radicata solo in alcune isole nell’isola,
luoghi celeberrimi e inflazionati in un panorama generalmente tralasciato dal
grande pubblico e perciò relativamente intatto.
Il nostro itinerario in libertandem attraversa la Sardegna da
Olbia a Cagliari, in un ferro di cavallo rivolto a ovest che esclude gli
splendidi territori orientali della Barbagia e dell’Ogliastra. La zona del
Gennargentu meriterebbe da sola un altro viaggio; ci siamo stati a piedi qualche
hanno fa e la consideriamo superiore al resto dell’isola per la maestosità dei
panorami montani e l’ospitalità degli abitanti. Ricordiamo in particolare la
distesa di mufloni che ci ha accolto appena valicata la punta Lamarmora e ci ha
riaccompagnato nella ridiscesa fino a Desulo, la memorabile ospitalità di Alessandro
e Angelo al rifugio Sa Crista (a S’Arena) e le scorpacciate insuperabili di fave,
pecorino e mirto all’ombra di profumati carrubi.
Stavolta puntiamo a
occidente, attraverso il suggestivo saliscendi della Gallura, tra valloni
verdeggianti disseminati di massicce formazioni granitiche che affiorano
imponenti tra boschi di sughere secolari. Appena lasciato il traffico di Golfo
Aranci e della costa Smeralda diretti nell’entroterra, ci addentriamo in una
regione ideale da percorrere in bicicletta: strade in ottime condizioni e
deserte, come la mitica statale settentrionale sarda; territorio ricco d’acqua
(localmente apprezzatissime le fonti di Tempio Pausania); numerosi siti
nuragici aperti al pubblico, spesso i luoghi perfetti per campeggiare. Di
seguito le foto delle aree archeologiche presso cui abbiamo messo la tenda.
Il pozzo preistorico di Sa Testa a Pittulongu
Il nuraghe Albucciu ad Arzachena, da dove abbiamo raggiunto,
dopo una piacevole camminata in collina tra i pascoli, lo spettacolare tempio
Malchittu
L’imponente ziggurat di Monte d’Accoddi – non più in Gallura,
ma nella piana della Nurra, vicino a Sassari
Dormire nelle vicinanze di questi autentici spettacoli della
natura e dell’archeologia – come nell’antichità i pellegrini che giungevano
presso templi e tombe nella speranza di ricevere in sogno il consiglio
illuminante e propiziatorio degli antenati – ci trasmette la loro forza arcana,
immergendoci nelle maglie di una storia millenaria e svelandone in qualche modo
il mistero: contemplando la loro completa armonia con le emergenze geografiche
del paesaggio che li circonda, se ne apprezza spontaneamente la funzione
originaria di luoghi di culto e di vita quotidiana, e si intuisce il perché queste
magnifiche formazioni rocciose venissero erette e adorate, come rifugi, inni
alla bellezza, parte integrante e simbolo fondante della vita stessa. La gente
con cui parliamo spesso si lamenta del fatto che tali siti preziosi e peculiari
siano abbandonati a loro stessi e insufficientemente valorizzati; in effetti,
potrebbe essere anche questa esclusione dai circuiti di sfruttamento commerciale
a renderli così attraenti, inghiottiti dalla natura, fruibili da molti senza
che ciò ne comporti un danneggiamento e un deterioramento cospicuo (se non quello
determinato dallo svolgersi ineluttabile del tempo). C’è un rispetto
stupefacente dei sardi per i propri luoghi preistorici: non si trovano tracce
di spazzatura o sfregi che ne contaminino l’energia atavica e intatta. Forse è
proprio questa catena ininterrotta di civiltà – civiltà nel vero senso della
parola, che significa orgoglio per la propria comunità e la propria origine,
senso d’appartenenza, rispetto della bellezza – forse è questo barlume di
conoscenza che ha scavalcato secoli di invasioni e barbarie senza essere
travolta e spazzata via, a rendere la Sardegna così unica e straordinaria.
Il nord della Sardegna ci regala inoltre una splendida notte
nel bosco di eucalipto che circonda le fonti termali di Santa Maria Coghinas (sorgenti
bollenti che sgorgano proprio nel greto del fiume), e due single-track sulla
costa, nel folto della macchia mediterranea che ricopre il litorale. Qualche
foto del primo, sul golfo di Cugnana appena a nord di Olbia, esemplificativa di
quanto fosse fitto e spinoso:
Il secondo è invece un sentiero panoramico che si snoda sulla
scogliera tra San Pietro a Mare e il grazioso paese di Castelsardo:
Sassari, invece, è per noi memorabile soprattutto per il
piatto di culurgiones (pasta ripiena di un delizioso impasto di formaggio,
limone e menta) che ci siamo preparati nel parco
La costa occidentale ci offre piacevoli pedalate tra
caratteristici paesini, vedute panoramiche e giornate di mare indimenticabili.
Sorprendentemente non è raro incontrare fonti d’acqua fresca proveniente dal
Montiferru e dal Monte Linas, il tempo è clemente (almeno lo è stato
quest’estate), con il caldo mitigato dal perpetuo soffiare del maestrale, ma
alcune salite ci fanno soffrire un po’ (soprattutto quando, tra un tergiversare
e l’altro, partiamo a mezzogiorno).
Dalle pianeggianti pinete invase di cinghiali che
attraversiamo fino a raggiungere la meravigliosa città di Alghero passiamo poi
al continuo saliscendi delle scogliere a picco sul mare che ci portano alla
penisola del Sinis, dove riguadagniamo la pianura con il campidano oristanese,
gli acquitrini di Cabras e gli appezzamenti tutti mais e fattorie intorno ad
Arborea. Più a sud ricominciano i rilievi con i massicci del Sulcis-Iglesiente,
degradanti sulla costa in anse sabbiose e formazioni dunali che creano alcune
delle spiagge più belle della Sardegna. Ecco qualche scatto dalla nostra
discesa lungo il far west sardo. L’incantevole baia di Torre del Porticciolo:
Una cala a nord di Bosa dove ci siamo fermati a raccogliere
patelle con un’allegra comitiva di camperisti, per un lancio d’aquilone e una
spaghettata in compagnia
Il pittoresco borgo di Bosa
Scorci dalla penisola del Sinis: la sua sinuosa lingua di terra
che si allunga fino al faro; tracce improvvisate che si disperdono nella
macchia; il villaggio di San Salvatore che rievoca la sceneggiatura di un film
western
Prima di raggiungere l’oristanese, una breve incursione della
statale nord-occidentale sarda nel Montiferru ci porta ad ammirare l’eccezionale
murales che fregia la piazza di Sennariolo
Ritroviamo la stessa originale idea creativa dopo aver
superato la piana d’Arborea, negli affreschi che adornano le fontane di San
Nicolò d’Arcidano
La pratica di decorare le facciate con murales che ritraggono
attività tradizionali trova la sua massima espressione nel paese museo di San
sperate, a nord di Cagliari, dove tutte le strade sono effigiate con svariati
attacchi d’arte
L’ultimo tratto del litorale di ponente ci delizia con le
dune di Piscinas, un’immensa spiaggia di fine sabbia dorata, e il famoso faraglione
biancheggiante di Pan di zucchero
La parte finale del
viaggio verso il capoluogo, lungo il campidano cagliaritano, non è meno ricca
di punti di interesse. Nell’entroterra dell’Iglesiente ci imbattiamo nel
villaggio fantasma di Ingurtosu, un tempo fiorente centro minerario, e in un
grave incendio appena domato che ha distrutto ettari di foreste di querce nei
dintorni di Arbus. Attraversiamo queste zone avvolte da un silenzio innaturale
dove la devastazione sembra non conoscere fine: nell’aria greve di fumi e negli
scheletri carbonizzati di alberi, campi e colline sembra rivivere l’odore, il
colore, l’atmosfera della storia intensa e tragica delle miniere.
Ecco una breve rassegna dei nostri luoghi preferiti
nell’ultimo tratto del nostro itinerario sardo. A Sa Spendula, la famosa
cascata di Villacidro, incontriamo Enrico, che guidato dal mentore Ercole si
allena nel superbo scenario di rocce e oleandri a eseguire salti e acrobazie in
bici da trial.
Una foto a San Lucifero per salutare la gentilissima perpetua
di Vallermosa
Nel secolare uliveto di Ortu Mannu, presso Villmassargia,
trascorriamo una notte incantata al cospetto del grandioso ulivo di Sa Reina, un
esemplare di mille anni e dodici metri di diametro
Merita una menzione l’azienda a gestione familiare Le Tre Api
di Uta, che produce miele e torrone biologico, sopraffino!!
Di Cagliari, infine,
si potrebbe scrivere un intero libro. Entriamo in centro evitando il traffico
davvero pauroso delle strade a scorrimento veloce (grazie OruxMap!), attraverso
improbabili sentieri di campagna tracciati tra spine e calcinacci che ce ne
danno l’immagine in lento avvicinamento di una metropoli spuntata dal nulla del
deserto. È in realtà una delle città più belle d’Italia; il suo incanto
fiabesco culmina nell’ora del tramonto, che indora i torrioni ocra della
cittadella avvolgendo viali e vicoli d’un caldo palpito ambrato: tutta la città
sembra allora fermarsi, levare gli occhi e trattenere il respiro al passaggio dei
maestosi cortei di fenicotteri che arrossiscono i cieli di Cagliari con il loro
lento e regale volo rosato.
A Cagliari abbiamo avuto il privilegio di essere ospitati dai
simpaticissimi Gabriele e Rosi, che ringraziamo con affetto, e da Rumundu,
l’iron-man sardo tornato da pochi mesi dal giro del mondo in bicicletta. È lui
il primo ispiratore del nostro viaggio, ed è stata un’emozione indescrivibile incontrarlo
e pedalare con lui.
Salutiamo anche una coppia di mitici sessantenni della
Valcamonica che attraversavano la Sardegna in bicicletta nel senso opposto al
nostro e ci hanno infuso la loro forza in poche battute.
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