lunedì 14 aprile 2014

La lunga marcia delle energie rinnovabili nel Sud

La nostra rapida traversata della Basilicata si dispiega agile e vivace all’insegna delle energie rinnovabili: dalla provincia di Avellino, che i suoi stessi abitanti denominano affettuosamente “terra dell’eolico”, ci inerpichiamo sui rilievi boscosi della Lucania, merlati anch’essi dei profili svettanti delle turbine a vento.

Della loro terra i lucani non intessono lodi sperticate né esprimono giudizi sferzanti; talvolta ne tacciono completamente; spesso, con la loquela scarna e schietta che è loro peculiare, te ne fanno innamorare come d’una passante sconosciuta di cui hai appena incrociato lo sguardo ammaliante. Terra di boschi, di lupi, di luce: con queste tre parole (in latino lucus, lupus, lux) spiegano l’etimologia di Lucania i suoi stessi abitanti, che usano definirsi riferendosi alle regioni vicine, di cui la Basilicata ha da sempre rappresentato la sorella povera: «Qui a Potenza siamo gente semplice come i campani dell’Irpinia»; «Qui a Matera siamo aperti e intraprendenti come i pugliesi della costa»…

Entriamo in Lucania dall’Irpinia, seguendo la valle del fiume Ofanto fino all’altezza di Monticchio Bagni, dove risaliamo sul rilievo isolato del Vulture; passate Melfi e Rapolla, scendiamo poi verso il lago del Rendina, per entrare infine nella piana pugliese attraversandola fino alla costa. 

Se la Puglia è terra di pietra e vento, la Basilicata è invece la patria dell’acqua, grondante di fiumi, torrenti e fiumare che solcano i monti verdeggianti del potentino e i brulli calanchi del materano.

Un ampio tratto del nostro itinerario segue la valle dell’Ofanto, il cui nome, come ci narra la nostra amica Antonietta riportando la leggenda locale, deriva dall’esclamazione disperata del console romano sconfitto nella cruenta battaglia di Canne, che, alla vista delle acque del fiume arrossate dal sangue dei suoi soldati, sospirò: “Oh fanti miei perduti!” 

l bacino idrografico dell’Ofanto è parte integrante del complesso schema idrico ideato per approvvigionare d’acqua potabile e irrigua la siccitosa regione pugliese. Tra i numerosi laghi artificiali creati a questo scopo visitiamo l’invaso di Conza sul fiume Ofanto, dichiarato zona umida di interesse comunitario per la presenza di rare specie migratorie che l’hanno eletto a luogo privilegiato di sosta e riproduzione. È perciò protetto da un’oasi wwf, il cui simbolo è un rapace dal collo lungo che vediamo sorvolare ad ampi cerchi le canne palustri. 
Un’interessante presentazione naturalistica della valle dell’Ofanto: 



L’altro bacino artificiale che costeggiamo lungo il nostro percorso è il lago del Rendina (detto anche di Abate Alonia): segnato sulla mappa come una grande macchia azzurra, è in realtà un immenso patchwork di campi e incolti completamente prosciugato, che si estende come una tremolante lacrima oblunga dall’orlo netto della diga, in ristrutturazione, pare, dal terremoto che devastò l’Irpinia nel 1980. È in corso un’interrogazione parlamentare che propone di riprendere i lavori per la riqualificazione dell’opera, idealmente sfruttabile per la produzione di energia idroelettrica; qui l’atto: 



Il corso dell’Ofanto delimita a nord la zona del Vulture, il massiccio vulcanico che ospita nei suoi crateri – spenti ormai da millenni – gli incantevoli laghi gemelli di Monticchio. Le fatiche della salita sono ben ripagate dal paesaggio paradisiaco che circonda questi specchi d’acqua smeraldina, coronati da boschi di faggi e querce ricchi di sorgenti minerali (la più famosa è la Gaudianello). 


In paese attiriamo l’attenzione di Giovanni, che ci fa assaggiare l’acqua oligominerale che esce dai suoi rubinetti, commentando laconico: «Io a casa mi faccio la doccia con l’acqua frizzante!» È inquietante apprendere che la totalità delle sorgenti locali è in mano a compagnie multinazionali e che ciò ha decretato ovunque la chiusura delle fontane pubbliche. Le aziende di imbottigliamento rappresentano comunque le principali fonti di sostentamento nell’area, massimamente apprezzate in tempi di crisi: l’ennesimo sintomo della schizofrenia sistemica del modello consumista.

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