La nostra rapida traversata della
Basilicata
si dispiega agile e vivace all’insegna delle energie rinnovabili: dalla
provincia di Avellino, che i suoi stessi abitanti denominano affettuosamente
“terra dell’eolico”, ci inerpichiamo sui rilievi boscosi della Lucania, merlati
anch’essi dei profili svettanti delle turbine a vento.
Della loro terra i lucani non intessono
lodi sperticate né esprimono giudizi sferzanti; talvolta ne tacciono
completamente; spesso, con la loquela scarna e schietta che è loro peculiare,
te ne fanno innamorare come d’una passante sconosciuta di cui hai appena
incrociato lo sguardo ammaliante. Terra di boschi, di lupi, di luce: con queste
tre parole (in latino lucus, lupus, lux)
spiegano l’etimologia di Lucania i suoi stessi abitanti, che usano definirsi
riferendosi alle regioni vicine, di cui la Basilicata ha da sempre
rappresentato la sorella povera: «Qui a Potenza siamo gente semplice come i
campani dell’Irpinia»; «Qui a Matera siamo aperti e intraprendenti come i
pugliesi della costa»…
Entriamo in Lucania dall’Irpinia,
seguendo la valle del fiume Ofanto fino all’altezza di Monticchio Bagni, dove risaliamo
sul rilievo isolato del Vulture; passate Melfi e Rapolla, scendiamo poi verso
il lago del Rendina, per entrare infine nella piana pugliese attraversandola
fino alla costa.
Se la Puglia è terra di pietra e
vento, la Basilicata è invece la patria dell’acqua, grondante di fiumi,
torrenti e fiumare che solcano i monti verdeggianti del potentino e i brulli
calanchi del materano.
Un ampio tratto del nostro
itinerario segue la valle dell’Ofanto,
il cui nome, come ci narra la nostra amica Antonietta riportando la leggenda
locale, deriva dall’esclamazione disperata del console romano sconfitto nella
cruenta battaglia di Canne, che, alla vista delle acque del fiume arrossate dal
sangue dei suoi soldati, sospirò: “Oh
fanti miei perduti!”
l bacino idrografico dell’Ofanto è parte integrante
del complesso schema idrico ideato per approvvigionare d’acqua potabile e
irrigua la siccitosa regione pugliese. Tra i numerosi laghi artificiali creati
a questo scopo visitiamo l’invaso di Conza sul fiume Ofanto,
dichiarato zona umida di interesse comunitario per la presenza di rare specie
migratorie che l’hanno eletto a luogo privilegiato di sosta e riproduzione. È
perciò protetto da un’oasi wwf, il cui simbolo è un rapace dal collo lungo che
vediamo sorvolare ad ampi cerchi le canne palustri.
Un’interessante
presentazione naturalistica della valle dell’Ofanto:
L’altro bacino artificiale che
costeggiamo lungo il nostro percorso è il lago del
Rendina
(detto anche di Abate Alonia): segnato sulla mappa come una grande macchia
azzurra, è in realtà un immenso patchwork di campi e incolti completamente
prosciugato, che si estende come una tremolante lacrima oblunga dall’orlo netto
della diga, in ristrutturazione, pare, dal terremoto che devastò l’Irpinia nel
1980. È in corso un’interrogazione parlamentare che propone di riprendere i
lavori per la riqualificazione dell’opera, idealmente sfruttabile per la
produzione di energia idroelettrica; qui l’atto:
Il corso dell’Ofanto delimita a
nord la zona del Vulture, il massiccio vulcanico che ospita nei suoi crateri – spenti
ormai da millenni – gli incantevoli laghi gemelli di Monticchio. Le fatiche della salita sono ben
ripagate dal paesaggio paradisiaco che circonda questi specchi d’acqua smeraldina,
coronati da boschi di faggi e querce ricchi di sorgenti minerali (la più famosa
è la Gaudianello).
In paese attiriamo l’attenzione di Giovanni, che ci fa
assaggiare l’acqua oligominerale che esce dai suoi rubinetti, commentando
laconico: «Io a casa mi faccio la doccia con l’acqua frizzante!» È inquietante
apprendere che la totalità delle sorgenti locali è in mano a compagnie
multinazionali e che ciò ha decretato ovunque la chiusura delle fontane
pubbliche. Le aziende di imbottigliamento rappresentano comunque le principali fonti
di sostentamento nell’area, massimamente apprezzate in tempi di crisi:
l’ennesimo sintomo della schizofrenia sistemica del modello consumista.
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