venerdì 14 marzo 2014

Tesori d'acqua, pietra e fuoco lungo il sentiero del sole

«Voi che pel mondo gite errando vaghi di veder meraviglie alte et stupende, venite qua ove tutto vi parla d’amore e d’arte».

Così recitano i versi di un poeta del Cinquecento incisi nel tufo di una panca etrusca, che giace coperta di muschio all’ingresso del Giardino di Bomarzo. Sembrano le parole più indicate per introdurre il suggestivo territorio della Tuscia, coperto di boschi e noccioleti, grondante in ogni zolla d’acqua e di storia, disseminato di borghi millenari intagliati nella roccia lavica e dei laghi più belli d’Italia.

I laghi che costellano le colline viterbesi occupano i crateri e le caldere di antichi vulcani, che gorgogliando dei loro arcaici misteri di lava e fuoco nelle profondità invisibili della materia, hanno conferito al paesaggio il suo aspetto attuale: un crogiuolo ribollente di arcane forme pittoresche, sia naturali sia umane, che rivelano un legame inscindibile e abissale con le viscere della terra.

Le testimonianze più evidenti sono le città del tufo, roccia vulcanica altamente modellabile e duratura, che porta in sé scolpiti tutti i segni del tempo, delle intemperie e delle genie umane che vi si sono avvicendate intorno ad abitarne gli anfratti e sfruttarne le caratteristiche intrinseche, ideali per l’architettura.

La rupe sulla quale si abbarbica Orvieto, per esempio, è un immenso formicaio di tufo, fitto d’un intricato dedalo di grotte, passaggi, cavità e interstizi scavati nel corso della lunga storia della città. 

Varcata Porta Maggiore, la soglia del quartiere medievale, troviamo immediatamente una finestra privilegiata al ricco e affascinante patrimonio ipogeo di Orvieto: il Pozzo della Cava, fatto scavare da papa Clemente VII nel 1527 ampliando un piccolo pozzo etrusco e riscoperto nel 1984, dopo secoli da abbandono, da Tersilio Sciarra, durante dei lavori di ristrutturazione. 
È proprio il sig. Sciarra ad accoglierci all’ingresso della sua storica trattoria, che, ristretta e riveduta per far spazio all’archeologia in seguito all’eccezionale scoperta del 1984, offre ancora un gradito servizio aggiuntivo alla visita delle grotte. Il complesso sotterraneo rinvenuto grazie all’impegno e alla passione del sig. Sciarra, che egli stesso descrive come «l’unico monumento italiano a gestione familiare», rappresenta uno spaccato di inestimabile valore che si addentra in secoli di vita quotidiana dell’Urbs Vetus. Tra cunicoli e necropoli etrusche, cantine e butti medievali, pozzi ed effigi rinascimentali, il tufo ha restituito splendori e miserie d’ogni epoca, di cui qui è possibile apprezzare da vicino il complesso processo di stratificazione storica che ha unito e separato le diverse generazioni.



Da Orvieto imbocchiamo nuovamente il sentiero del sole, l’eurovelo7 – itinerario ciclabile che corre da Capo nord a Malta –, che si snoda in questo tratto lungo la valle Tiberina.

Il parco fluviale del Tevere, che segna il confine tra Umbria e Lazio, ospita l’oasi wwf del lago di Alviano, istituita nel 1990 su un bacino di sbarramento artificiale creato sul fiume per alimentare la centrale idroelettrica istallata allo sbocco meridionale del lago. Quest’intervento ha permesso di edificare una zona umida di interesse internazionale, che preserva un habitat estremamente significativo di specie acquatiche altrimenti scomparse nella zona da oltre un secolo: boschi igrofili di pioppi, salici, ontani, querce, olmi, carpini; canneti e piante palustri; piccoli mammiferi e soprattutto una variegata moltitudine di uccelli che popolano il lago dei loro richiami.


Le rive sono costellate di piccoli campi coltivati. Tra i filari delle vigne, vispe contadine dai grembiuli colorati legano i tralci spogli con i rami dei salici appena potati, tubolari robusti e flessibili d’arancio e giallo acceso.


La centrale idroelettrica di Alviano è un sito d’importanza fondamentale nella rete di impianti di elettrificazione del fiume Tevere, che forniscono energia a gran parte dell’Italia centrale. Per quanto di notevoli dimensioni, l’architettura è progettata per avere un impatto visivo minimale nell’ambiente.



Con una piccola deviazione dal percorso dell’EV7 in direzione di Viterbo, si raggiunge un altro piccolo gioiello incastonato tra la valle del Tevere e le estreme pendici nord-orientali dei monti Cimini: il Bosco Sacro di Bomarzo, una favola scultorea creata dal genio di Vicino Orsini – signore di Bomarzo dal 1542 al 1584 – che fece scolpire nei massi del suo giardino una serie di visioni mitologiche scaturite dalla sua passione per la mitologia classica, pagana ed orientale, dai suoi interessi alchimistici e magico-esoterici, e dalla sua fervida e immaginifica sensibilità artistica. Il risultato è una suggestionante foresta di simboli che accompagnano il visitatore in un viaggio mistico di emozioni sussurrate e memorie arcane, dove «ogni pensiero vola».



Anche in questo speciale angolo di Tuscia, connotato da una magica commistione di arte e natura, un ruolo predominante è giocato dalla pietra lavica locale, il peperino, che, utilizzato fin dalla preistoria per l’estrema duttilità e resistenza, dota di un singolare cromatismo tenebroso il paese di Bomarzo e i suoi dintorni.






























Un altro segno dell’attività vulcanica che soggiace alla formazione di queste terre sono le terme, nostra grande passione… Deviamo dal comodo e scorrevole itinerario dell’EV7 apposta per concederci un bagno rigenerante alle terme di Viterbo. Ne vale sempre la pena: nelle terme libere delle piscine Carletti, dove arriviamo a notte fatta, l’acqua sorgiva sgorga in superficie a 60 gradi, le vasche sono ampie, fumanti, bianche di travertino e ci si incontra come al solito personaggi simpatici. Stanotte è la volta di Fabio e Chiara, anche loro appassionati di terme, di agricoltura sinergica, di sfide ecologiste. Andremo certo a trovarli a Roma, dove sognano di istituire un apiario didattico. 


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