«Voi che pel mondo gite errando
vaghi di veder meraviglie alte et stupende, venite qua ove tutto vi parla
d’amore e d’arte».
Così recitano i versi di un poeta
del Cinquecento incisi nel tufo di una panca etrusca, che giace coperta di
muschio all’ingresso del Giardino di Bomarzo. Sembrano le parole più indicate
per introdurre il suggestivo territorio della Tuscia, coperto di
boschi e noccioleti, grondante in ogni zolla d’acqua e di storia, disseminato di
borghi millenari intagliati nella roccia lavica e dei laghi più belli d’Italia.
I laghi che costellano le colline
viterbesi occupano i crateri e le caldere di antichi vulcani, che gorgogliando dei
loro arcaici misteri di lava e fuoco nelle profondità invisibili della materia,
hanno conferito al paesaggio il suo aspetto attuale: un crogiuolo ribollente di
arcane forme pittoresche, sia naturali sia umane, che rivelano un legame
inscindibile e abissale con le viscere della terra.
Le testimonianze più evidenti
sono le città del tufo, roccia vulcanica altamente modellabile e duratura, che
porta in sé scolpiti tutti i segni del tempo, delle intemperie e delle genie
umane che vi si sono avvicendate intorno ad abitarne gli anfratti e sfruttarne
le caratteristiche intrinseche, ideali per l’architettura.
La rupe sulla quale si abbarbica Orvieto, per
esempio, è un immenso formicaio di tufo, fitto d’un intricato dedalo di grotte,
passaggi, cavità e interstizi scavati nel corso della lunga storia della città.
Varcata Porta Maggiore, la soglia del quartiere medievale, troviamo immediatamente
una finestra privilegiata al ricco e affascinante patrimonio ipogeo di Orvieto:
il Pozzo della Cava, fatto scavare
da papa Clemente VII nel 1527 ampliando un piccolo pozzo etrusco e riscoperto
nel 1984, dopo secoli da abbandono, da Tersilio Sciarra, durante dei lavori di
ristrutturazione.
È proprio il sig. Sciarra ad accoglierci all’ingresso della
sua storica trattoria, che, ristretta e riveduta per far spazio all’archeologia
in seguito all’eccezionale scoperta del 1984, offre ancora un gradito servizio
aggiuntivo alla visita delle grotte. Il complesso sotterraneo rinvenuto grazie
all’impegno e alla passione del sig. Sciarra, che egli stesso descrive come «l’unico
monumento italiano a gestione familiare», rappresenta uno spaccato di
inestimabile valore che si addentra in secoli di vita quotidiana dell’Urbs
Vetus. Tra cunicoli e necropoli etrusche, cantine e butti medievali, pozzi ed
effigi rinascimentali, il tufo ha restituito splendori e miserie d’ogni epoca,
di cui qui è possibile apprezzare da vicino il complesso processo di
stratificazione storica che ha unito e separato le diverse generazioni.
Da Orvieto imbocchiamo nuovamente
il sentiero del sole, l’eurovelo7
– itinerario ciclabile che corre da Capo nord a Malta –, che si snoda in questo
tratto lungo la valle Tiberina.
Il parco fluviale del Tevere, che
segna il confine tra Umbria e Lazio, ospita l’oasi wwf del lago di
Alviano, istituita nel 1990 su un bacino di sbarramento artificiale creato
sul fiume per alimentare la centrale idroelettrica istallata allo sbocco
meridionale del lago. Quest’intervento ha permesso di edificare una zona umida
di interesse internazionale, che preserva un habitat estremamente significativo
di specie acquatiche altrimenti scomparse nella zona da oltre un secolo: boschi
igrofili di pioppi, salici, ontani, querce, olmi, carpini; canneti e piante
palustri; piccoli mammiferi e soprattutto una variegata moltitudine di uccelli
che popolano il lago dei loro richiami.
Le rive sono costellate di piccoli
campi coltivati. Tra i filari delle vigne, vispe contadine dai grembiuli
colorati legano i tralci spogli con i rami dei salici appena potati, tubolari
robusti e flessibili d’arancio e giallo acceso.
La centrale idroelettrica di
Alviano è un sito d’importanza fondamentale nella rete di impianti di
elettrificazione del fiume Tevere, che forniscono energia a gran parte
dell’Italia centrale. Per quanto di notevoli dimensioni, l’architettura è
progettata per avere un impatto visivo minimale nell’ambiente.
Con una piccola deviazione dal
percorso dell’EV7 in direzione di Viterbo, si raggiunge un altro piccolo
gioiello incastonato tra la valle del Tevere e le estreme pendici
nord-orientali dei monti Cimini: il Bosco Sacro di
Bomarzo, una favola scultorea creata dal genio di Vicino Orsini – signore di
Bomarzo dal 1542 al 1584 – che fece scolpire nei massi del suo giardino una
serie di visioni mitologiche scaturite dalla sua passione per la mitologia
classica, pagana ed orientale, dai suoi interessi alchimistici e
magico-esoterici, e dalla sua fervida e immaginifica sensibilità artistica. Il
risultato è una suggestionante foresta di simboli che accompagnano il
visitatore in un viaggio mistico di emozioni sussurrate e memorie arcane, dove «ogni
pensiero vola».
Anche in questo speciale angolo
di Tuscia, connotato da una magica commistione di arte e natura, un ruolo predominante
è giocato dalla pietra lavica locale, il peperino, che, utilizzato fin dalla
preistoria per l’estrema duttilità e resistenza, dota di un singolare
cromatismo tenebroso il paese di Bomarzo e i suoi dintorni.
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