Per questo suo incanto allucinogeno
che ammalia tutti gli occhi – dagli ingenui strabiliati dal multiforme ingegno
che l’uomo ha manifestato nel corso delle sue epoche alterne di splendore e
miseria, ai cultori della bellezza che nelle stesse vestigia di eternità
contemplano il riflesso sbiadito e decadente del loro disgusto snobista – la
città eterna è un luogo in cui molti, forse tutti, desiderano arrivare a un
certo punto del viaggio, vuoi per cambiare aereo e volare verso nazioni più
accoglienti, vuoi per lanciare uno scellino nella fontana di Trevi, vuoi per
capriccio, per forza o per pellegrinaggio: tutte le strade portano a Roma.
Arrivarci in bicicletta, comunque,
fa un certo effetto.
L’eurovelo7, che grazie ai
visionari a due ruote che ci hanno preceduto è segnato dettagliatamente su
OpenCycleMap (ahimè soltanto fino a Gaeta, dove s’è fermato stavolta il Cristo
dei viaggiatori a pedali), garantisce un ingresso davvero tranquillo e
interessante a Roma nord: attraversati i parchi naturali della Valle del Treja
e di Veio
– che tra le rupi di tufo, l’odore delle solfatare, i calzoni e la cortesia dei
sigg. Giuliano a Sacrofano meriterebbero un post a parte – si entra da Prima
Porta, si passa sotto uno svincolo mastodontico tra il GRA, le strade consolari
Flaminia, Cassia e Salaria, le antenne delle RAI e una grandiosa centrale
idroelettrica (giusto per immaginare di essere davvero in una metropoli
all’italiana), e si imbocca immediatamente la pista ciclabile che percorre Roma
da nord a sud lungo le sponde del Tevere, dove pascolano apparentemente ignare
greggi di pecore urbane, si accampano i Rom, si allenano le squadre di calcetto
nei campi risparmiati dalla piena.
Arrivando pochi giorni dopo l’alluvione
del Tevere, troviamo gran parte della pista ancora sepolta dal fango e
infiocchettata delle buste di plastica che penzolano per diversi metri d’altezza
dai rami degli alberi che crescono sugli argini.
È una ciclabile che potrebbe altrimenti
essere perfetta per noi che attraversiamo la città diretti a sud, ma non
proprio comoda per chi vorrebbe servirsene tutti i giorni per vivere Roma a
passo d’uomo evitando il traffico sempre disumano: immessi nella pista,
infatti, non ci sono molte vie d’uscita per le bici, solo scalinate monumentali
abbastanza erte da percorrere con un tandem in spalla.
Già, anche a Roma ci si può
incontrare per caso, se solo si sa cosa si vuole cercare. Così, aggirandoci per
il Rione Monti in attesa che la Ciclo-officina Centrale apra, ci
imbattiamo proprio in Rota Fixa, che sta andando a farsi un tatuaggio “antifurto”
per attestare la proprietà della sua bici, pronta per partire per il giro delmondo. Anche lui è pronto, anzi non sta più nella pelle, raggiante, ospitale e
solidale come sempre. In un attimo si marchia e ci raggiunge, con il braccio
fasciato, sanguinante e tatuato con il suo simbolo, impresso anche sul telaio
auto-costruito della sua bici: «Almeno posso dimostrare che è davvero mia!»
Gozzovigliamo insieme nel negozio
di biciclette di Massimiliano, il Biciclettaro. È un bell’ambiente, colorato
e accogliente, arredato con i quadri a tema ciclistico di Rota Fixa, i graffiti underground di
un’amica di bici e gli accessori fluo di Zona 30. Nell’officina annessa Fabio dà
un’occhiata al nostro movimento centrale, che quando è carico e sotto sforzo
scricchiola in modo preoccupante. Intanto noi ci godiamo la compagnia di due Ciclonauti convinti, Massimiliano e Gloria, e dei
tanti amici che passano a trovarli. Molti sono forniti delle bici pieghevoli
così comode per girare la città usufruendo anche dei mezzi pubblici, e ci raccomandano
l’uso del casco e di tutto il necessario per garantire la massima visibilità.
Sito: http://biciclettaro.it/
Fabio e Chiara sono un esempio
concreto di come sia possibile – e quasi necessario per vivere più umanamente –
scegliere di fare la differenza, anche se incastrati nell’inghiottitoio camaleontico
della città (e forse proprio per quello). Impegnati da tempo nel sociale e appassionati
di culture e pratiche ecologiste, seguono da circa un anno un intensivo corso di apicultura presso l’apiario
didattico del parco del monte Soratte, dove collaborano.
Per dirla con John Holloway: «La rivoluzione adesso significa pensare la morte del capitalismo non in termini di una pugnalata al cuore, ma come la morte per un milione di punture di api». E chissà che non sia il loro ronzio sommesso, questa volta, invece che lo schiamazzo delle oche, a salvarci il Campidoglio.
Qualche risorsa sul monitoraggio
ambientale attraverso le api:
Per un colpo d’occhio sui parchi
naturali nei pressi di Roma:
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