martedì 18 marzo 2014

Come le api salveranno il Campidoglio

Roma è una città che riempie di emozione.  È un mito a cui ci si avvicina con un senso di deferenza e costernazione, ammutolendo davanti allo spettacolo di millenni di storia e di cultura ammassati d’un tratto tutti insieme, come se il tempo fosse qui imploso e inghiottito da una qualche voragine spaziale. Di questo collasso cosmico si avverte la vertigine e il caos; e un fremito nervoso di eccitazione e dissolutezza, quasi un rilassamento totale delle inibizioni e dell’ordine costituito, che i passeggeri imbarcati in questo veliero pavesato sembrano condividere e che li fa sembrare tutti turisti che girovagano per la loro città come stranieri, ammirati, innamorati, disamorati e schifati, distratti e incuranti come solo i turisti sanno essere.
Per questo suo incanto allucinogeno che ammalia tutti gli occhi – dagli ingenui strabiliati dal multiforme ingegno che l’uomo ha manifestato nel corso delle sue epoche alterne di splendore e miseria, ai cultori della bellezza che nelle stesse vestigia di eternità contemplano il riflesso sbiadito e decadente del loro disgusto snobista – la città eterna è un luogo in cui molti, forse tutti, desiderano arrivare a un certo punto del viaggio, vuoi per cambiare aereo e volare verso nazioni più accoglienti, vuoi per lanciare uno scellino nella fontana di Trevi, vuoi per capriccio, per forza o per pellegrinaggio: tutte le strade portano a Roma.

Arrivarci in bicicletta, comunque, fa un certo effetto.

L’eurovelo7, che grazie ai visionari a due ruote che ci hanno preceduto è segnato dettagliatamente su OpenCycleMap (ahimè soltanto fino a Gaeta, dove s’è fermato stavolta il Cristo dei viaggiatori a pedali), garantisce un ingresso davvero tranquillo e interessante a Roma nord: attraversati i parchi naturali della Valle del Treja e di Veio – che tra le rupi di tufo, l’odore delle solfatare, i calzoni e la cortesia dei sigg. Giuliano a Sacrofano meriterebbero un post a parte – si entra da Prima Porta, si passa sotto uno svincolo mastodontico tra il GRA, le strade consolari Flaminia, Cassia e Salaria, le antenne delle RAI e una grandiosa centrale idroelettrica (giusto per immaginare di essere davvero in una metropoli all’italiana), e si imbocca immediatamente la pista ciclabile che percorre Roma da nord a sud lungo le sponde del Tevere, dove pascolano apparentemente ignare greggi di pecore urbane, si accampano i Rom, si allenano le squadre di calcetto nei campi risparmiati dalla piena.
Arrivando pochi giorni dopo l’alluvione del Tevere, troviamo gran parte della pista ancora sepolta dal fango e infiocchettata delle buste di plastica che penzolano per diversi metri d’altezza dai rami degli alberi che crescono sugli argini. 


È una ciclabile che potrebbe altrimenti essere perfetta per noi che attraversiamo la città diretti a sud, ma non proprio comoda per chi vorrebbe servirsene tutti i giorni per vivere Roma a passo d’uomo evitando il traffico sempre disumano: immessi nella pista, infatti, non ci sono molte vie d’uscita per le bici, solo scalinate monumentali abbastanza erte da percorrere con un tandem in spalla.

Per fortuna i biciclettari della capitale non si fanno scoraggiare dal disinteresse delle amministrazioni, e a Roma è possibile incontrare un movimento di ciclo-attivisti davvero esemplare e incoraggiante che si batte tra mille difficoltà per il benessere comune e il diritto a una mobilità sana, libera e sostenibile. Se ne vedono sfrecciare nel traffico un certo numero, purtroppo altamente minoritario, di questi eroi a due ruote, attrezzati di casco, bici pieghevole, grinta e santa pazienza, per affrontare le dodici fatiche che una giornata in mezzo al traffico capitolino impone ai viaggiatori lenti. A introdurci alcuni simpatici membri rappresentativi di questa nobile categoria che sono i ciclisti urbani è di nuovo Rota Fixa, alias Paolo Bellino. Il nostro incontro a Roma è come al solito speciale: passeggiando per i Fori Imperiali con lo sguardo rapito dagli archi monumentali del Colosseo che si staglia davanti a noi, avvertiamo, ancora prima di vedercela sfrecciare accanto, il sibilo inconfondibile di una scatto fisso. Senza rifletterci due volte partiamo all’inseguimento, per raggiungere poco più avanti la donna, sorridente e solare, che la cavalca. «Ciao, conosci per caso Rota Fixa?»«Sì, è mio marito.»

Già, anche a Roma ci si può incontrare per caso, se solo si sa cosa si vuole cercare. Così, aggirandoci per il Rione Monti in attesa che la Ciclo-officina Centrale apra, ci imbattiamo proprio in Rota Fixa, che sta andando a farsi un tatuaggio “antifurto” per attestare la proprietà della sua bici, pronta per partire per il giro delmondo. Anche lui è pronto, anzi non sta più nella pelle, raggiante, ospitale e solidale come sempre. In un attimo si marchia e ci raggiunge, con il braccio fasciato, sanguinante e tatuato con il suo simbolo, impresso anche sul telaio auto-costruito della sua bici: «Almeno posso dimostrare che è davvero mia!»



Gozzovigliamo insieme nel negozio di biciclette di Massimiliano, il Biciclettaro. È un bell’ambiente, colorato e accogliente, arredato con i quadri a tema ciclistico di Rota Fixa, i graffiti underground di un’amica di bici e gli accessori fluo di Zona 30. Nell’officina annessa Fabio dà un’occhiata al nostro movimento centrale, che quando è carico e sotto sforzo scricchiola in modo preoccupante. Intanto noi ci godiamo la compagnia di due Ciclonauti convinti, Massimiliano e Gloria, e dei tanti amici che passano a trovarli. Molti sono forniti delle bici pieghevoli così comode per girare la città usufruendo anche dei mezzi pubblici, e ci raccomandano l’uso del casco e di tutto il necessario per garantire la massima visibilità.


È una bella boccata d’aria fresca in una città frenetica e congestionata come Roma, e neanche l’unica che la concrete jungle ci concede. I nostri nuovi amici Fabio e Chiara ci regalano infatti una mattinata memorabile nella riserva naturale di Monte Mario, uno dei parchi urbani nei quali la città cerca di ingabbiare e salvaguardare un polmone verde che le possa ricordare come si fa a respirare (magari immaginandosi nelle narici impeciate il profumo inebriante del selvatico).
Fabio e Chiara sono un esempio concreto di come sia possibile – e quasi necessario per vivere più umanamente – scegliere di fare la differenza, anche se incastrati nell’inghiottitoio camaleontico della città (e forse proprio per quello). Impegnati da tempo nel sociale e appassionati di culture e pratiche ecologiste, seguono da circa un anno un intensivo corso di apicultura presso l’apiario didattico del parco del monte Soratte, dove collaborano. 

Raggiungerlo insieme risulta però troppo impegnativo per i nostri nervi sensibilizzati da qualche centinaio di chilometri a pedali: montati in auto, infatti, percorriamo in un’ora intera la bellezza di qualche centinaio di metri imbottigliati in un ingorgo che non accenna a risolversi. Ci portano allora a trovare Romeo, l’agricoltore che ospita le loro arnie sul monte Mario.  Romeo ci stupisce con le sue zucche penzolanti da un imponente ciliegio, il suo variopinto pollaio multietnico, le piccole uova verdognole di buffe galline dalle zampe piumate e il suo inscalfibile buonumore romano. È contento che qualcuno si prenda di nuovo cura delle api, che svolgono un insostituibile azione benefica per l’orto grazie alla loro attività di impollinatori.


Contemplando con trepidazione il risveglio delle arnie colpite dai primi raggi di sole, Chiara e Fabio ci introducono la complessa e affascinante società delle api, che rappresenta nella loro esperienza un inesauribile scrigno di saggezza. Dall’instancabile opera di questi eccezionali esserini alati, infatti, non si ricavano soltanto prodotti benefici, utilissimi, versatili e deliziosi come il miele, la cera d’api e il polline. L’apiario può anche costituire uno strumento di inestimabile efficacia, istruttivo e divertente soprattutto per i bambini, per riscoprire la campagna, per avvicinarsi ai temi dell’ecologia e alle buone pratiche della permacultura, per imparare a scoprire e decifrare i segni con cui la natura ci parla. Il miele, per esempio, è un prodotto eccezionale non solo per le proprietà organolettiche, nutritive e medicinali che lo contraddistinguono, ma anche perché porta impressa nella sua morfologia strutturale preziose informazioni sulla salute del territorio e la qualità dell’ambiente. Da questa scoperta Fabio e Chiara hanno maturato una proposta di progetto, da sviluppare in collaborazione con l’associazione RomaNatura, per monitorare il livello di inquinamento e la qualità dell’ambiente urbano attraverso l’analisi del miele prodotto dalle api di Roma. 
Per dirla con John Holloway«La rivoluzione adesso significa pensare la morte del capitalismo non in termini di una pugnalata al cuore, ma come la morte per un milione di punture di api». E chissà che non sia il loro ronzio sommesso, questa volta, invece che lo schiamazzo delle oche, a salvarci il Campidoglio. 

Qualche risorsa sul monitoraggio ambientale attraverso le api:



Per un colpo d’occhio sui parchi naturali nei pressi di Roma:

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