mercoledì 26 marzo 2014

Le buone pratiche alla Fattoria Mardero

Come la pioggia lucidava marmi e sanpietrini per il nostro ingresso trionfale a Roma, ora che ci lasciamo la città alle spalle il sole lustra di luce e tepore il lastricato levigato della sua più antica e più bella strada consolare, la via Appia.

L’eurovelo7 ci regala di nuovo scorci memorabili del nostro bel paese. 





Il primo tratto in uscita da Roma percorre il parco dell’Appia antica, oggi animato da ciclo-turisti che con occhi e bocca spalancati di meraviglia si arrampicano sulle rovine millenarie, velocisti a piedi o a pedali che con le narici dilatate di primavera si allenano tra l’erba e il selciato, passeggiatori a petto nudo che con le gote arrossate di beatitudine si godono i primi soli del pazzo marzo.

























Prosegue attraverso gradevoli e solitarie strade di campagna a ridosso dei colli Albani (una è sbarrata da un cancello che si può però ancora aprire per garantire il passaggio pedonale) e tranquille provinciali adornate da vivaci striscioni di protesta contro l’apertura di una nuova discarica in zona Falcognana che procuri l’ennesimo sfregio all’amena zona dei Castelli e da una sconcertante passerella di sgargianti prostitute che catturano l’occhio con la malia struggente della loro oscena malinconia.


L’itinerario si snoda poi lungo la costa laziale, attraversando l’Agro Pontino, le lagune del Circeo e il litorale frastagliato di grotte e scogliere fino al promontorio di Gaeta.

Ogni paesaggio è un incanto e una scoperta, ogni luogo ci dischiude il segreto ombroso e solare della natura, ogni posto ci svela la sua storia personale di ecologia e coraggio attraverso un incontro, uno scambio di battute, un incrocio di destini che ci folgora sulla via.

Nel parco del Circeo, prima di addentrarci tra le dune che separano il mare dalle lagune di Sabaudia, circondate dalle ultime selve del pontino e coronate dai picchi innevati delle catene laziali dei Lepini, degli Ausoni e degli Aurunci, ci imbattiamo in PierLuigi e Amelia, una coppia di sognatori che da un paio d’anni hanno abbondato i rispettivi mestieri stabili in fabbrica e in ufficio per abbracciare uno stile di vita nomade, più essenziale e più ricco, all’insegna dell’incontro e della scoperta: esplorano infatti in camper i luoghi del mondo più belli, vivibili e amichevoli per i viaggiatori. Potete conoscerli e seguirli su: 


Presso il pittoresco borgo di Sperlonga decidiamo di evitare una galleria stradale e avventurarci invece sul suggestivo promontorio di Villa Tiberio, riserva naturale ed archeologica tutelata dal comprensorio del parco della Riviera di Ulisse. Qui, con il panorama mozzafiato delle scogliere scoscese che si affacciano sulla spiaggia disseminata di resti romani su cui si staglia all’orizzonte la falsa isola del Circeo, facciamo un sorprendente incontro con un insetto stecco, che si mimetizza nel verde cupo del telo legato sul portapacchi posteriore del tandem.


Nell’ambito dello stesso comprensorio naturalistico rientra il parco urbano di monte Orlando a Gaeta, riserva integrale di inestimabile valore all’interno della città, che orna della sua cresta verde i calanchi e le falesie che sfrangiano il promontorio a precipizio sul Tirreno. Padre Michele ci introduce alla visita della Montagna Spaccata e della Grotta del Turco, suggestive e profonde fenditure intagliate nei calanchi costieri per effetto del terremoto che sconquassò la terra alla morte di Gesù.






Ma l’incontro più speciale e significativo di questo tratto di viaggio avviene nell’Agro Pontino, nella zona di Aprilia. Cercando alla sera un posto dove accamparci, seguiamo un po’ sconsolati la strada che si incanala grigia e dritta in mezzo alle recinzioni, dietro cui si asserraglia guardinga la campagna laziale, fino a imbatterci in un’insegna che sovrasta una cancellata spalancata: Fattoria didattica Mardero.



Nell’ampia aia, pulita e accogliente, ci riceve la calorosa stretta di mano e il sorriso affabile e cordiale di Giampiero, che ci ospita per la notte nella sua bellissima fattoria. L’accento sfumato tradisce le sue origini friulane: il nonno appartiene infatti al gruppo degli industriosi e solerti coloni friulani ai quali, in quanto reduci di guerra, furono assegnati gli appezzamenti di terra che nascevano nel periodo mussoliniano delle bonifiche del pontino. Giampiero è nato in questo podere, e qui lavora da una vita la campagna. È un ottimo cicerone, e il suo racconto ricco e incisivo ci trasporta attraverso la storia e l’evoluzione della sua fattoria, raro esempio di un coerente e perfetto amalgamarsi di saggezza, esperienza e lungimiranza. Concepito inizialmente come azienda zootecnica dedita all’allevamento di vacche da latte, ai primi segni del crollo del mercato delle quote lattee il podere è stato riconvertito per orientarsi maggiormente alla produzione agricola, in particolare la coltivazione del kiwi, prodotto d’eccellenza della zona (la provincia di Latina fornisce un quarto della produzione mondiale), che ha tuttora un mercato stabile per l’alto consumo di questo frutto nei paesi nordici.


Già dai primi anni della conversione Giampiero ha avuto il buon senso di abbracciare l’agricoltura biologica e di diversificare ulteriormente la propria attività, sottraendo spazio alla monocultura e dedicando sempre più ettari, tempo e risorse alla creazione di una realtà più dinamica, che potesse fungere da luogo di incontro, di interazione e di integrazione tra la campagna e la società. Per questo Giampiero ha scelto di mantenere un’aia aperta e spaziosa, come si usava in passato, per garantire la presenza di un’area idonea e votata all’accoglienza, allo scambio e alla comunicazione con il vicinato, il villaggio, il mondo circostante. Proprio in quest’ottica sta ora lavorando ad ampliare e arricchire l’area verde, ludica e ricreativa, che ospita i giochi dei bambini e i momenti di relax degli adulti, con lo scopo di ripetere e incentivare le iniziative di apertura al pubblico, che promuove con ottimo successo, come sagre di prodotti biologici o giornate di “fattoria aperta” in cui le famiglie, gli agricoltori e tutti i visitatori interessati sono invitati a condividere i piccoli-grandi piaceri del contatto con la natura e del cibo genuino. Attraverso questi eventi il mondo dell’agricoltura esce dai suoi recinti e dai margini a cui è relegato per aprirsi al resto della società, presentandosi come luogo di convivialità, di confronto, di apprendimento e magari di recupero e di cura.

Fondamentale per realizzare questo processo è la presenza di una grande varietà di animali: oltre alle mucche della tradizione familiare, si allevano asini, pony, galline, tacchini, papere, conigli, maiali, api, ecosistemi che convivono in sinergia fornendo tutti il loro essenziale contributo per rendere la fattoria non solo un modello di sistema produttivo ed economico efficiente, ma anche un campo didattico dove i visitatori possano apprendere i meccanismi della produzione primaria e della filiera corta, che sostengono l’infrastruttura basilare su cui si regge l’incommensurabile marchingegno della macro-economia. È un luogo aperto a tutti; e i visitatori più numerosi ed entusiasti sono innanzitutto i bambini, che hanno qui l’occasione di sperimentare un universo che viene spesso ignorato e rimosso dal sapere comune e che invece dovrebbe essere patrimonio esperienziale di tutti fin dalla prima infanzia. «È un percorso lungo e faticoso, ma che funziona e dà i suoi frutti», ci spiega Giampiero, che sottolinea come oltre al piccolo introito economico (che non è da sottovalutare in una struttura per cui la sostenibilità è una delle pietre miliari da tenere in conto), ci sono guadagni diversi e di ben altra portata da prendere in considerazione, come la ricarica positiva portata dal lavorare con i bambini e farli apprendere e divertire nello stesso momento.


È senz’altro la fattoria didattica più bella ed efficiente che abbiamo mai visitato. Si intuisce una differenza fondamentale rispetto a tante iniziative con intenti simili, altrettanto nobili e condivisibili, ma che non producono effetti altrettanto efficaci: si tratta dell’esperienza radicata della tradizione familiare, che dona un altro approccio nella gestione del progetto. Ciò che si percepisce immediatamente nell’organizzazione degli spazi, nelle considerazioni di Giampiero, nell’accoglienza stessa che ci viene riservata, è una saggezza implicita e diffusa, un’accuratezza e un’oculatezza che sono sicuramente il frutto di una lunga esperienza, di un miscuglio perfetto di pratica, tradizione e intraprendenza acquisite nel tempo e messe a frutto nel momento giusto. L’aspetto vincente è che una expertise contadina di larghe vedute abbia accettato la vocazione imposta dalla società contemporanea di porsi come maestra di vita e di intraprendere un percorso diverso dal lavoro di mera produzione, addentrandosi nel campo emergente dell’educazione, senza avere la pretesa di volerne ricalcare le linee teoriche o istituzionali, ma scegliendo invece il metodo che le si addiceva di più, la via più semplice ed immediata che la sua storia e la sua tradizione contadina le indicavano come valida e sicura, e cioè quella di aprirsi alla comunicazione con l’esterno e alla collaborazione con altri ambienti della società. Da questa valutazione possiamo ricavare un prisma analitico utile per interrogarci sul fallimento di iniziative con obiettivi identici, intraprese  da associazioni orientate al sociale ed esperte nell’ottenere finanziamenti pubblici, che non hanno però nessuna esperienza in ambito agricolo e non hanno la capacità di coinvolgere tecnici del settore, che dovrebbero essere non semplicemente agronomi o ingegneri ma in primis agricoltori, contadini che con la campagna riescono a sopravvivere, da cui poter apprendere davvero come produrre ricchezza, non solo economica, ma soprattutto in termini di autosufficienza, salute, conoscenza e utilizzo sostenibile delle risorse.

Questo è quello che Giampiero fa, aprendo la sua fattoria alle scuole e a tutti, con umiltà e disponibilità. La sua scelta non è certo frutto della mia teoria dei massimi sistemi, ma è invece un esito spontaneo del suo percorso di vita e di lavoro. La fattoria è infatti produttiva e sostenibile. I kiwi assicurano una rendita più o meno fissa (anche se assente negli ultimi anni a causa di una malattia che ha contagiato le colture della zona, ha compromesso la normale raccolta per diversi anni e ha richiesto un lungo intervento di cura e ripristino). Il panorama è variegato da diverse colture e numerosi alberi, tra cui vigne, frutteti, olivi ed eucalipti, piantati dai tempi della bonifica come frangivento e specie da taglio, ideali per l’alta capacità di assorbimento idrico e per la velocità di crescita. Qualche ettaro è dedicato alla coltivazione di erba medica per il foraggio degli animali e per la vendita al dettaglio di balle di fieno ridotte per piccoli animali domestici. Il compost viene prodotto in una concimaia tradizionale, una grande vasca posta al centro della fattoria, dove si raccolgono e si stoccano i diversi letami che finiscono di compostare direttamente in campo. Gli animali allevati sostengono il fabbisogno alimentare della famiglia e sono inoltre fondamentali per mostrare ai gruppi in visita il lavoro e il funzionamento delle catene produttive primarie e realizzare i workshop. Vengono infatti allestiti vari laboratori: la mungitura e la produzione del formaggio; la vendemmia e il vino; l’apiario didattico; i prodotti del mais (la polenta e le bamboline artigianali); la lavanda, a cui è dedicato qualche ettaro di terreno e che risulta molto utile per sperimentare la vita rurale con i bambini, coinvolgendoli in un percorso sensoriale a 360 gradi alla scoperta della campagna, dei suoi prodotti, dei suoi sapori, dei suoi ritmi. Le dimostrazioni si svolgono nel vasto capannone centrale (ricavato dalla vecchia stalla), che ospita una mostra permanente degli attrezzi agricoli utilizzati, conservati e collezionati negli anni, ora esposti in quest’ampia sala per soddisfare l’interesse e stimolare la curiosità dei visitatori, che si sentono circondati dai segni tangibili di una radicata tradizione contadina da cui ricavare insegnamenti vitali sul lavoro, sulla produzione, sulla sostenibilità.


Un passo indispensabile a cui Giampiero pensa da tempo è la conversione alle energie rinnovabili. Per adesso la fattoria è dotata soltanto di un pannello solare per l’acqua calda; per spiegare la sua esitazione nel dotare i tetti di altri impianti simili Giampiero esprime le sue perplessità riguardo agli scarti a lungo termine del fotovoltaico: «Cosa succederà tra vent’anni? Come si smaltiranno i rifiuti dopo così tanto tempo, ci saranno sempre le stesse aziende a garantirci il ritiro e lo smaltimento sicuro? È facile non pensarci e considerare solo i vantaggi nell’immediato, ma poi si lasciano sempre i conti da fare alle future generazioni».

Un esempio illuminante di buone pratiche e buone culture da seguire, imitare e diffondere per il nostro stesso benessere.

La pagina fb dell’azienda agrituristica e fattoria didattica Mardero:


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