Come la pioggia lucidava marmi e
sanpietrini per il nostro ingresso trionfale a Roma, ora che ci lasciamo la
città alle spalle il sole lustra di luce e tepore il lastricato levigato della
sua più antica e più bella strada consolare, la via Appia.
L’eurovelo7 ci regala di nuovo scorci
memorabili del nostro bel paese.
Il primo tratto in uscita da Roma percorre il parco dell’Appia antica, oggi animato da ciclo-turisti che con occhi e bocca spalancati di meraviglia si arrampicano sulle rovine millenarie, velocisti a piedi o a pedali che con le narici dilatate di primavera si allenano tra l’erba e il selciato, passeggiatori a petto nudo che con le gote arrossate di beatitudine si godono i primi soli del pazzo marzo.
Prosegue attraverso gradevoli e solitarie strade di campagna a ridosso dei colli Albani (una è sbarrata da un cancello che si può però ancora aprire per garantire il passaggio pedonale) e tranquille provinciali adornate da vivaci striscioni di protesta contro l’apertura di una nuova discarica in zona Falcognana che procuri l’ennesimo sfregio all’amena zona dei Castelli e da una sconcertante passerella di sgargianti prostitute che catturano l’occhio con la malia struggente della loro oscena malinconia.
L’itinerario si snoda poi lungo
la costa laziale, attraversando l’Agro Pontino, le lagune del Circeo e il
litorale frastagliato di grotte e scogliere fino al promontorio di Gaeta.
Ogni paesaggio è un incanto e una
scoperta, ogni luogo ci dischiude il segreto ombroso e solare della natura,
ogni posto ci svela la sua storia personale di ecologia e coraggio attraverso
un incontro, uno scambio di battute, un incrocio di destini che ci folgora
sulla via.
Nel parco del Circeo, prima di addentrarci
tra le dune che separano il mare dalle lagune di Sabaudia, circondate dalle
ultime selve del pontino e coronate dai picchi innevati delle catene laziali
dei Lepini, degli Ausoni e degli Aurunci, ci imbattiamo in PierLuigi
e Amelia, una coppia di sognatori che da un paio d’anni
hanno abbondato i rispettivi mestieri stabili in fabbrica e in ufficio per
abbracciare uno stile di vita nomade, più essenziale e più ricco, all’insegna
dell’incontro e della scoperta: esplorano infatti in camper i luoghi del mondo
più belli, vivibili e amichevoli per i viaggiatori. Potete conoscerli e seguirli
su:
Presso il pittoresco borgo di Sperlonga
decidiamo di evitare una galleria stradale e avventurarci invece sul suggestivo
promontorio di Villa Tiberio, riserva naturale ed archeologica tutelata dal
comprensorio del parco della Riviera di Ulisse. Qui, con il panorama
mozzafiato delle scogliere scoscese che si affacciano sulla spiaggia
disseminata di resti romani su cui si staglia all’orizzonte la falsa isola del
Circeo, facciamo un sorprendente incontro con un insetto stecco, che si
mimetizza nel verde cupo del telo legato sul portapacchi posteriore del tandem.
Nell’ambito dello stesso
comprensorio naturalistico rientra il parco urbano di monte Orlando a Gaeta, riserva
integrale di inestimabile valore all’interno della città, che orna della sua
cresta verde i calanchi e le falesie che sfrangiano il promontorio a precipizio
sul Tirreno. Padre Michele ci introduce alla visita della Montagna Spaccata e della
Grotta del Turco, suggestive e profonde fenditure intagliate nei calanchi
costieri per effetto del terremoto che sconquassò la terra alla morte di Gesù.
Ma l’incontro più speciale e
significativo di questo tratto di viaggio avviene nell’Agro
Pontino, nella zona di Aprilia. Cercando alla sera un
posto dove accamparci, seguiamo un po’ sconsolati la strada che si incanala
grigia e dritta in mezzo alle recinzioni, dietro cui si asserraglia guardinga
la campagna laziale, fino a imbatterci in un’insegna che sovrasta una
cancellata spalancata: Fattoria didattica Mardero.
Nell’ampia aia, pulita e accogliente, ci riceve la calorosa stretta di mano e il sorriso affabile e cordiale di Giampiero, che ci ospita per la notte nella sua bellissima fattoria. L’accento sfumato tradisce le sue origini friulane: il nonno appartiene infatti al gruppo degli industriosi e solerti coloni friulani ai quali, in quanto reduci di guerra, furono assegnati gli appezzamenti di terra che nascevano nel periodo mussoliniano delle bonifiche del pontino. Giampiero è nato in questo podere, e qui lavora da una vita la campagna. È un ottimo cicerone, e il suo racconto ricco e incisivo ci trasporta attraverso la storia e l’evoluzione della sua fattoria, raro esempio di un coerente e perfetto amalgamarsi di saggezza, esperienza e lungimiranza. Concepito inizialmente come azienda zootecnica dedita all’allevamento di vacche da latte, ai primi segni del crollo del mercato delle quote lattee il podere è stato riconvertito per orientarsi maggiormente alla produzione agricola, in particolare la coltivazione del kiwi, prodotto d’eccellenza della zona (la provincia di Latina fornisce un quarto della produzione mondiale), che ha tuttora un mercato stabile per l’alto consumo di questo frutto nei paesi nordici.
Già dai primi anni della
conversione Giampiero ha avuto il buon senso di abbracciare l’agricoltura
biologica e di diversificare ulteriormente la propria attività,
sottraendo spazio alla monocultura e dedicando sempre più ettari, tempo e
risorse alla creazione di una realtà più dinamica, che potesse fungere da luogo
di incontro, di interazione e di integrazione tra la campagna e la società. Per
questo Giampiero ha scelto di mantenere un’aia aperta e spaziosa, come si usava
in passato, per garantire la presenza di un’area idonea e votata all’accoglienza,
allo scambio e alla comunicazione con il vicinato, il villaggio, il mondo circostante.
Proprio in quest’ottica sta ora lavorando ad ampliare e arricchire l’area
verde, ludica e ricreativa, che ospita i giochi dei bambini e i momenti di
relax degli adulti, con lo scopo di ripetere e incentivare le iniziative di
apertura al pubblico, che promuove con ottimo successo, come sagre di prodotti
biologici o giornate di “fattoria aperta” in cui le famiglie, gli agricoltori e
tutti i visitatori interessati sono invitati a condividere i piccoli-grandi
piaceri del contatto con la natura e del cibo genuino. Attraverso questi eventi
il mondo dell’agricoltura esce dai suoi recinti e dai margini a cui è relegato per
aprirsi al resto della società, presentandosi come luogo di convivialità, di
confronto, di apprendimento e magari di recupero e di cura.
Fondamentale per realizzare
questo processo è la presenza di una grande varietà di animali: oltre alle
mucche della tradizione familiare, si allevano asini, pony, galline, tacchini,
papere, conigli, maiali, api, ecosistemi che convivono in sinergia fornendo
tutti il loro essenziale contributo per rendere la fattoria non solo un modello
di sistema produttivo ed economico efficiente, ma anche un campo didattico dove
i visitatori possano apprendere i meccanismi della produzione primaria e della
filiera corta, che sostengono l’infrastruttura basilare su cui si regge
l’incommensurabile marchingegno della macro-economia. È un luogo aperto a
tutti; e i visitatori più numerosi ed entusiasti sono innanzitutto i bambini,
che hanno qui l’occasione di sperimentare un universo che viene spesso ignorato
e rimosso dal sapere comune e che invece dovrebbe essere patrimonio
esperienziale di tutti fin dalla prima infanzia. «È un percorso lungo e
faticoso, ma che funziona e dà i suoi frutti», ci spiega Giampiero, che sottolinea
come oltre al piccolo introito economico (che non è da sottovalutare in una
struttura per cui la sostenibilità è una delle pietre miliari da tenere in conto),
ci sono guadagni diversi e di ben altra portata da prendere in considerazione, come
la ricarica positiva portata dal lavorare con i bambini e farli apprendere e
divertire nello stesso momento.
È senz’altro la fattoria didattica più bella ed efficiente che abbiamo mai visitato. Si intuisce una differenza fondamentale rispetto a tante iniziative con intenti simili, altrettanto nobili e condivisibili, ma che non producono effetti altrettanto efficaci: si tratta dell’esperienza radicata della tradizione familiare, che dona un altro approccio nella gestione del progetto. Ciò che si percepisce immediatamente nell’organizzazione degli spazi, nelle considerazioni di Giampiero, nell’accoglienza stessa che ci viene riservata, è una saggezza implicita e diffusa, un’accuratezza e un’oculatezza che sono sicuramente il frutto di una lunga esperienza, di un miscuglio perfetto di pratica, tradizione e intraprendenza acquisite nel tempo e messe a frutto nel momento giusto. L’aspetto vincente è che una expertise contadina di larghe vedute abbia accettato la vocazione imposta dalla società contemporanea di porsi come maestra di vita e di intraprendere un percorso diverso dal lavoro di mera produzione, addentrandosi nel campo emergente dell’educazione, senza avere la pretesa di volerne ricalcare le linee teoriche o istituzionali, ma scegliendo invece il metodo che le si addiceva di più, la via più semplice ed immediata che la sua storia e la sua tradizione contadina le indicavano come valida e sicura, e cioè quella di aprirsi alla comunicazione con l’esterno e alla collaborazione con altri ambienti della società. Da questa valutazione possiamo ricavare un prisma analitico utile per interrogarci sul fallimento di iniziative con obiettivi identici, intraprese da associazioni orientate al sociale ed esperte nell’ottenere finanziamenti pubblici, che non hanno però nessuna esperienza in ambito agricolo e non hanno la capacità di coinvolgere tecnici del settore, che dovrebbero essere non semplicemente agronomi o ingegneri ma in primis agricoltori, contadini che con la campagna riescono a sopravvivere, da cui poter apprendere davvero come produrre ricchezza, non solo economica, ma soprattutto in termini di autosufficienza, salute, conoscenza e utilizzo sostenibile delle risorse.
Questo è quello che Giampiero fa,
aprendo la sua fattoria alle scuole e a tutti, con umiltà e disponibilità. La
sua scelta non è certo frutto della mia teoria dei massimi sistemi, ma è invece
un esito spontaneo del suo percorso di vita e di lavoro. La fattoria è infatti
produttiva e sostenibile. I kiwi assicurano una rendita più o meno fissa (anche
se assente negli ultimi anni a causa di una malattia che ha contagiato le colture
della zona, ha compromesso la normale raccolta per diversi anni e ha richiesto
un lungo intervento di cura e ripristino). Il panorama è variegato da diverse colture
e numerosi alberi, tra cui vigne, frutteti, olivi ed eucalipti, piantati dai
tempi della bonifica come frangivento e specie da taglio, ideali per l’alta
capacità di assorbimento idrico e per la velocità di crescita. Qualche ettaro è
dedicato alla coltivazione di erba medica per il foraggio degli animali e per
la vendita al dettaglio di balle di fieno ridotte per piccoli animali domestici.
Il compost viene prodotto in una concimaia tradizionale, una grande vasca posta
al centro della fattoria, dove si raccolgono e si stoccano i diversi letami che
finiscono di compostare direttamente in campo. Gli animali allevati sostengono
il fabbisogno alimentare della famiglia e sono inoltre fondamentali per
mostrare ai gruppi in visita il lavoro e il funzionamento delle catene
produttive primarie e realizzare i workshop. Vengono infatti allestiti vari laboratori:
la mungitura e la produzione del formaggio; la vendemmia e il vino; l’apiario
didattico; i prodotti del mais (la polenta e le bamboline artigianali); la
lavanda, a cui è dedicato qualche ettaro di terreno e che risulta molto utile
per sperimentare la vita rurale con i bambini, coinvolgendoli in un percorso
sensoriale a 360 gradi alla scoperta della campagna, dei suoi prodotti, dei
suoi sapori, dei suoi ritmi. Le dimostrazioni si svolgono nel vasto capannone
centrale (ricavato dalla vecchia stalla), che ospita una mostra permanente degli
attrezzi agricoli utilizzati, conservati e collezionati negli anni, ora esposti
in quest’ampia sala per soddisfare l’interesse e stimolare la curiosità dei visitatori,
che si sentono circondati dai segni tangibili di una radicata tradizione
contadina da cui ricavare insegnamenti vitali sul lavoro, sulla produzione, sulla
sostenibilità.
Un passo indispensabile a cui
Giampiero pensa da tempo è la conversione alle energie rinnovabili. Per adesso
la fattoria è dotata soltanto di un pannello solare per l’acqua calda; per
spiegare la sua esitazione nel dotare i tetti di altri impianti simili Giampiero
esprime le sue perplessità riguardo agli scarti a lungo termine del
fotovoltaico: «Cosa succederà tra vent’anni? Come si smaltiranno i rifiuti dopo
così tanto tempo, ci saranno sempre le stesse aziende a garantirci il ritiro e
lo smaltimento sicuro? È facile non pensarci e considerare solo i vantaggi
nell’immediato, ma poi si lasciano sempre i conti da fare alle future
generazioni».
Un esempio illuminante di buone
pratiche e buone culture da seguire, imitare e diffondere per il nostro stesso benessere.
La pagina fb dell’azienda
agrituristica e fattoria didattica Mardero:
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