Un post dalla Campania
che mi augurerei breve e intenso come il nostro passaggio nella Terra dei Fuochi.
Abbiamo attraversato il
territorio glorioso e tormentato della Campania sul versante interno, lungo la
direttrice pianeggiante che si incunea tra i rilievi a Sessa Aurunca, segue la
valle del Volturno fino a Capua, costeggia la fertile zona dell’agro aversano incrociando
Caserta e lambisce la piana del nolano condensata tra i monti del Partenio e il
cono del Vesuvio. Finita la pacchia della pianura, ci siamo poi inerpicati fino
ad Avellino addentrandoci nell’Irpinia.
« Ormai è vicina la Terra
di Lavoro,
qualche branco di bufale, qualche
mucchio di case tra piante di
pomidoro,
èdere e povere palanche.
Ogni tanto un fiumicello, a pelo
del terreno, appare tra le
branche
degli olmi carichi di viti, nero
come uno scolo. Dentro, nel treno
che corre mezzo vuoto, il gelo »
(Pierpaolo Pasolini, La terra di
Lavoro, Le ceneri di Gramsci, Garzanti 1957)
Solo una poesia può dare voce all’esuberanza
vitale di questa terra nera e generosa, fitta d’erbe rigogliose e saporite,
irta del biancore frantumato dei cumuli di monnezza stratificati come ere
geologiche in uno spaccato impressionante della nostra incivile civiltà. Ma è
pur sempre la terra più bella d’Italia, la Campania felix, dove «ai bei tempi con mezzo
ettaro ci mangiava tutta la famiglia», che qui si intende ancora come la
parentela allargata. La sua tragedia è dolce e antica come il suo suolo, atroce
ed eterna come il Vesuvio stesso.
Anche gli abitanti locali assomigliano
alla natura di queste parti: intensi, esuberanti e rapiti d’un’allegrezza
struggente e fatalista; ardenti, sanguigni e vitali d’un’ospitalità fraterna e
assoluta; tragici, sapidi e scanzonati d’una teatralità dignitosa e signorile.
A Carinola incontriamo una coppia
indimenticabile, che accoglie con sorniona nonchalance partenopea l’apparizione
del nostro accampamento nel giardinetto di casa: piantiamo infatti la tenda
davanti a quella che sembra una scuola abbandonata, quando a un tratto, dietro
una cortina scostata, compare il grumo di fumo e ilarità che è Elio. Tempo di
un rapido e memorabile scambio di sguardi e battute ed esce Luciana, fornita di
tutti i viveri della dispensa e dei deliziosi mandarini cinesi dell’orto
domestico.
A Cicciano veniamo circondati da un
vivace capannello di pittoreschi ciclo-attivisti che assistono Alessandro nella
sostituzione delle pasticche dei freni.
Un incontro, sempre breve ma
intenso, con l’insuperabile bontà della cucina partenopea, anch’essa
passionale, esuberante e assoluta, nel
chiosco friggitoria di Leonardo, a Cancello Scalo.
E non poteva mancare un sospirato
assaggio della pizza napoletana, offerta “A’ castelluccia” da Andrea, che ci
ospita per la cena e per la notte raccontandoci del vient’e mare – il Libeccio
che imperversa fuori – e del vient'e
terra – la Bora che spira dal Partenio –, del glorioso passato agricolo della
zona, «che uno poteva campare andando a raccogliere le patate e gli altri
ortaggi che cadevano dai camion stracarichi», del recente sfruttamento che è
poi lo sfruttamento di sempre, del «tutto deve cambiare perché niente cambi, e
così ai latifondisti si sono sostituiti in staffetta i commercianti
intermediari e gli immancabili camorristi».
La stessa squisita ospitalità ci
accoglie in Irpinia,
terra dolceamara di campagne incontaminate e borghi sconosciuti, sfregiati dal
terremoto del 1980 che rivive negli sguardi malinconici, nei visi asciutti, nei
sorrisi intimiditi della gente che ci si avvicina cordiale e incuriosita. A Lioni, dalla nostra amica Antonietta, ci attendono i nostri caschi nuovi fiammanti, inviati da Alessandro della libreria di viaggi Il Manuale di Prato.
La nostra tenda a San Potito Ultra:
È quindi l’arte di arrangiarsi e
di sopravvivere con dignità, buonumore e fantasia ciò che più d’ogni altra cosa
i campani hanno assorbito da questo cielo denso di polline e di lapilli e di
vita, da questa terra folta di humus e di lava e di vita, da questa verdura
irripetibile, irriducibile e incorruttibile che si proietta grandiosa dalla
terra al cielo, mai parsi altrove così vicini e incompatibili come in questo
luogo, dove, colti nel delirio del loro verde amplesso, stanno sempre a
toccarsi e scornarsi, bisticciare e fare l’amore.
Un post stupendo... Viene voglia di partire. Matteo
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