Ripiegare sulla costa non sarà
certo il modo migliore per sfuggire dal vento che ci perseguita dall’inizio del
viaggio. Tuttavia, il lembo estremo della Maremma grossetana che si adagia con
grazia sul mar Tirreno nell’elegante plissettatura del lago di Burano è una
vera e propria oasi di pace dove ristorarci per un paio di giorni di maltempo e
membra affaticate.
La pioggia, a dire il vero, è
soltanto una scusa: il Libeccio impetuoso che spira costante da sud sgombra il
cielo d’ogni traccia d’umido, concedendoci terse notti stellate e giornate
assolate sempre più lunghe.
Ci prendiamo una pausa di
assoluto godimento: la tenda è piazzata davanti al centro visite dell’oasi del wwf del lago di
Burano – la prima ad essere istituita in Italia nel 1980 – che preserva uno
dei tratti costieri incontaminati meglio conservati della regione; il tramonto
brumoso si accende dello stormire garrulo di schiere multiformi d’uccelli, che
si radunano in massa tra le fronde a lanciarsi commenti acuti sulle proprie peripezie
quotidiane e a sfottere con lunghi fischi striduli e allegri i loro cugini
acquatici che sguazzano placidi tra i canneti ondeggianti; al crepuscolo
s’innalza maestoso il concerto sinfonico delle ranocchie, che salutano dal raso
iridato di fossi e acquitrini il velluto lucente del firmamento trapunto del
bagliore opalescente di imperscrutabili sciami siderali.
Anche qui ci imbattiamo in una
vecchia conoscenza: «Ma non ci siamo già incontrati alla foce d’Ombrone?»
Riconosciamo così Massimiliano, che un paio d’anni fa, immerso nell’acqua fino
alla cintola mentre prelevava campionature per il rilevamento ittico, ci
parlava degli ultimi avvistamenti di falco pescatore.
Rieccolo a Capalbio Scalo, a
raccontarci interessanti e curiosi aneddoti sulle bellezze naturalistiche della
Toscana: della cinquecentesca torre del Buranaccio, che domina l’orizzonte
della laguna salmastra di Burano, proprio in prossimità del canale che la
collega con il mare (che viene aperto artificialmente in caso di necessità);
del coniglio grigio importato dall’Arizona per la caccia, che ci attraversa imperturbabile
la strada mentre torniamo dal moletto; delle miniere abbandonate che ha
esplorato quanto cercava pietre rare; dei magici laghi, fiumi, gole e ponti che
impreziosiscono l’inesauribile patrimonio paesaggistico locale.
Ci suggerisce di visitare le rovine della città romana di Cosa, a cui giungiamo al tramonto dopo una breve pedalata a ridosso della costa di Ansedonia, disseminata di torri di presidio che si ergono sfacciate contro onde e bufere. I resti millenari delle mura monumentali incorniciano i raggi obliqui della sera che indorano d’una luce spettrale la laguna di Orbetello sovrastata dal promontorio boscoso dell’Argentario.
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